≡ Menu

La donna non ha più le cosce…

 

«[L]a donna è caduta dal mistero dell’alcova e da quello dell’anima. E sa che penso?
— chiede il professore Roscio a Laurana ne “A ciascuno il suo” di Sciascia — Che la Chiesa cattolica stia registrando oggi il suo più grande trionfo: l’uomo odia finalmente la donna. Non c’era riuscita nemmeno nei secoli più grevi, più oscuri. C’è riuscita oggi. E forse un teologo direbbe che è stata un’astuzia della Provvidenza: l’uomo credeva, anche in fatto di erotismo, di correre sulla via maestra della libertà; e invece è finito in fondo all’antico sacco».
È a questa pagina del testo di Sciascia che penso con insistenza quando il tipo qui al mio fianco,  mi ripete con sospiro malinconico «La donna non ha più le cosce».
Siamo fermi, in fila, a mollo nel caldo umido dell’ufficio postale di F.: e davanti a noi è tutto un via vai di donne in pantaloncini e minigonne. Il tipo, un attempato signore in maniche di camicia, ha viscere cattoliche estremamente sensibili; una croce in vista, appuntata sul bavero della giacca che tiene piegata sul braccio, testimonia il mio sospetto. Voltandosi verso di me ribadisce secco: «Eh sì, non ne ha più… Non le vede?». Il fatto di vederle, raffinato paradosso, significa per lui l’invisibilità. Il fatto di poterle ammirare, osservarle semplicemente con gli occhi invece che di intravederle, di indovinarle, di provare a sognarle, genera un cortocircuito alla sua erotica contemplazione, un’assenza, una mancanza, una mutilazione. Ogni parte del corpo femminile che la moda del momento denuda, ecco che per lui svanisce come tratto di matita sotto l’azione della gomma. Se le donne — delizioso paradosso — andassero in giro a mostrar nudo tutto il corpo, soltanto le teste rotolerebbero davanti a lui, come dalla ghigliottina nel paniere. Ecco, sì: una cosa molto cattolica. Ma — chiedo — non è cosa ugualmente cattolica, di cosa altra dal cattolicesimo, questa scelta, più o meno consapevole, della donna di sparire come corpo appunto denudandosi? — e un teologo, in questa prospettiva altra, continuerebbe a dire che, in fondo, “è stata un’astuzia della Provvidenza”?

{ 0 comments }

L’ingegnere del linguaggio…

Era il 1953 e Carlo Emilio Gadda raccolse in un volumetto intitolato Norme per la redazione di un testo radiofonico una serie di regole per scrivere in modo chiaro e corretto i testi destinati all’ascolto.

Scriveva l’ingegnere: «costruire il testo con periodi brevi», «procedere per figurazioni paratattiche, coordinate o soggiuntive, anziché per subordinate», «evitare le parentesi, gli incisi, gli infarcimenti e le sospensioni sintattiche», evitare le parole e le locuzioni straniere che hanno un equivalente italiano.

Ma le raccomandazioni più belle sono quelle che hanno per oggetto la vanità dei giornalisti: «Compito del presentatore è quello di rendere un’immagine evidente e in quanto possibile obiettiva» dell’oggetto di cui si parla, «non quello di insabbiarne l’effige col polverone della propria autorità».
«Il pubblico che ascolta una conversazione — scrive Gadda — è un pubblico per modo di dire. In realtà si tratta di “persone singole”, di mònadi ovvero unità, separate le une dalle altre. Ogni ascoltatore è solo: nella più soave delle ipotesi è in compagnia di “pochi intimi”. Seduto solo nella propria poltrona, dopo aver inscritto in bilancio la profittevole mezz’ora e la nobile fatica dell’ascolto, egli dispone di tutta la sua segreta suscettibilità per potersi irritare del tono inopportuno onde l’apparecchio radio lo catechizza.» E, allora, non bisogna «suscitare l’idea (…) di un insegnamento impartito, di una predica, di un messaggio dall’alto. L’eguale deve parlare all’eguale, il libero cittadino al libero cittadino, il cervello opinante al cervello opinante». Perciò è bene «astenersi dal presupporre nel radioabbonato conoscenze che ‘egli’, il ‘qualunque’, non può avere e non ha. Inibirsi la civetteria del dare per comunemente noto quello che noto comunemente non è».

{ 0 comments }

(forse.)

Avessi una spada e un toro agonizzante pieno di banderillas sul groppone potrei finirlo per un senso di pietà e misericordia — lo stesso tipo di compassione che mi assale se vedo un insettucolo claudicante che si dimena a terra; che faccio lo schiaccio oppure resisto nel lago d’indifferenza, l’essenza della disumanità che alberga calmo nel mio cuore? Lo schiaccio, anche se poi generalmente, un attimo dopo mi pento di aver preso simili decisioni demiurgiche. Chi sono io per occuparmi della vita altrui? Già fatico a occuparmi della mia, incastrato in tutta quella monotona serie di attenzioni che servono per mantenere un precarissimo equilibrio omeostatico, tra il dare e il prendere, l’avere e l’essere, il mangiare e il defecare. Una fatica!
«Forse / che di sedere in pria avrai distretta!». Starsene rannicchiati «come l’uom per negghienza a star / si pone» e attendere, purgarsi, indifferente al peso degli anni. Tanto, a poco a poco, un giorno dopo l’altro, il paradiso, vedrai, arriverà. (Forse.)

{ 0 comments }

l’invasione degli imbecilli…

Non voglio trattenermi troppo a lungo su tutte le implicazioni della dichiarazione di Umberto Eco, sennò mi vengono le vertigini, e vado subito al punto. Dice l’illustre semiologo: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Commento a caldo: che stronzata! Argomentiamo.
Chi — mi chiedo — metteva a tacere gli imbecilli? E come? E, ancora: chi impedirebbe a questo ipotetico silenziatore-da-bar ad agire anche sui social media? Ma, poi, è davvero così utile e saggio reagire alle cazzate di un imbecille? E perché? Arreca danno? E in che misura? E soprattutto: perché a un imbecille dovrebbe essere negato il diritto di parola?
Beh, sì: troppe domande, è vero, e a nessuna provo a dare una risposta; il fatto è che la questione sollevata da Umberto Eco mi pare difettosa già in premessa, sicché rinuncio ad approfondirla. Dico solo che il bello di Internet è la sua anarchia. E in tale contesto, chiunque ha diritto di manifestare la propria irrilevanza, fesso o saggio che sia.
Di fronte a Erostrato che, per passare alla storia, dava fuoco al tempio di Diana (e arrecava un consistente danno alla comunità – benché come diceva Lec, prima di condannare Erostrato vorrei aver visto il tempio di Diana in Efeso), ben venga chi si limita a portare in superficie le proprie idee, per quanto fesse siano, ché — al netto, questo è il danno — fa perdere al massimo solo pochi mega di traffico dati. Tutto qui.

{ 2 comments }

Io ti assolvo…

Ristampano solo cazzate. Questo splendido, documentatissimo, spietato “io ti assolvo — etica, politica, sesso: i confessori di fronte a vecchi e nuovi peccati” (Baldini&Castoldi 1993), di Giordano Bruno Guerri, non è più stato ristampato. Ho dovuto mettere un po’ di libri sottosopra, sapevo di averlo, l’ho trovato, l’ho rileggiucchiato. Violenze, violenze, violenze. Soprusi, prepotenze, contraddizioni. Devastazioni psicologiche, manipolazione delle coscienze, abusi. Anche su minori. Tutto nel segreto dei confessionali a fotografare una variegata realtà nell’Italia del primo semestre del 1993.
Uno strumento potentissimo quello della confessione con cui la Chiesa “indirizza i comportamenti sociali — scrive l’autore — dei credenti e di conseguenza interagisce anche nella vita dei non credenti e dei non praticanti”.
Senza la confessione, un cristiano non è un cattolico: nella migliore delle ipotesi, è un luterano “a sua insaputa”. Il sacramento della confessione distingue forse più di tutti gli altri il grado minimo di cattolicesimo: la particolare natura della grazia, il prete come alter Christus, quel controllo capillare della vita di una comunità, persona per persona, anima per anima — a voler ammettere che ciascuna persona ne abbia una — con contestuale capillare somministrazione del senso di colpa, strumento di manipolazione delle coscienze.
Teologia, ma pure sociologia: se i paesi di tradizione protestante sono in media più civili e liberali di quelli di tradizione cattolica, è perché per secoli la confessione ha generato moduli di relazione subordinativa che ha reso l’individuo un nemico giurato del cattolicesimo, ricambiato.
Chi ti guida, ti giudica, eventualmente ti assolve, e stabilisce il prezzo del perdono nella misura della soggezione e dell’indulgenza, e chi sta lì da spaventapasseri sul seminato di timor di Dio – il prete, insomma – non è un pastore protestante, e non a caso si fa baciare la mano.
Oggi, poi, non potendo più controllare le coscienze una ad una, come prima con la confessione, adesso cercano di controllarle a pacchetto, col controllo degli stili di vita. Il mistero è diventato vademecum: manuale di ricette vagamente morali. E peraltro le ordinazioni scarseggiano. La Chiesa è già diventata una potentissima Scientology, ridotta a sanzionare con paletti più o meno stabili gli stili di vita degli adepti, una potentissima mafia, ma niente di più.

{ 0 comments }

La scrittura…

La scrittura può, in certi momenti, essere usata come valvola di sfogo: strumento efficacissimo a buttar fuori dal corpo, ovvero dalla tua mente, la rabbia che ti riesce difficile da smaltire in altro modo.
La scrittura come catarsi, come catarro che sputi fuori, non dico per terra ch’è maleducazione, ma sul foglio o anche su uno schermo del pc.
Sputasentenze che non è altro, il blogger ha come un impellente bisogno di estirpare la malerba che infesta la sua mente (nel suo corpo): è quando i suoi pensieri scorrono fluidi, lisci, senza increspature ch’egli si sente appagato, come uomo sulla riva del fiume ad ascoltare la musica lenta del suo placido scorrere.
Cinguettii di allodole accompagnano lo spegnersi della sua eccitazione. Prima, egli era pronto a sbranar a morsi uno qualsiasi degli stronzi che comandano e fottono il mondo e, dopo, invece, solo dopo aver scritto, dopo aver sputato, si sente così rappacificato, così soddisfatto che le sue cellule abbiano avuto la forza, il modo e la concentrazione di esprimere un barlume del suo esserci.
Soddisfazione grama, va bene. Ogni tanto sarebbe preferibile potere qualcosa, anziché niente. Eppure, in tutta questa infinita impotenza, questa frustante impossibilità di incidere nel profondo negli eventi, sentire partecipazione alla vita che passa è la cosa che più gli preme: la sconfitta dell’angoscia, la solitudine che non pesa, anzi. E lo scorrere della penna ad accarezzare fuori di sé tutto ciò che lo riporta al centro.
L’amore per ciò che riversi su un foglio di carta è difficile da spiegare, soprattutto se è rivolto a se stessi. E io mi voglio bene ora, tanto, e vorrei che anche per voi fosse la stessa cosa, anche se lo specchio, anche se gli occhi di chi avete davanti potrebbero farvi voler intendere il contrario.

{ 0 comments }

[…]

Matteo salvini

Migrante non è un gerundio. Volendo, è un participio presente. Ma è anche un aggettivo. Uguale uguale a ignorante, ecco.

{ 0 comments }

…come mosche su stronzi fumanti

Mafiacapitale

Il dato più probante e come tale più preoccupante che viene fuori dalla stura di questa nuova storiaccia di corruzione che i giornali hanno battezzato “Mafia Capitale” (*) non tanto risiede nel fatto che si rubi nella cosa pubblica e in quella privata – ché, per quanto odioso che sia, è il dato meno significativo e meno inaspettato fra i tanti –, quanto nel fatto che si rubi senza l’intelligenza del fare e le persone di assoluta mediocrità – a voler tarare le parole sulla tacca dell’indulgenza – si trovino al vertice di pubbliche e private imprese. In queste persone la mediocrità si accompagna a un elemento maniacale, vorrei dire di follia, che nel favore della fortuna non appare se non per qualche innocuo accidente, ma che alle prime difficoltà comincia poi a manifestarsi e a crescere fino a travolgerli – e tutti in coro a gridare il Re è nudo e ce l’ha paurosamente piccolo!
Si può dire di loro quel che D’Annunzio diceva in privato di Marinetti: che sono “una nullità tonante”, cretini fosforescenti: solo che nel contesto in cui vengono ad agire il loro cretinismo appare – e in un certo senso e fino a un certo punto è – estrosa fantasia.
In una società bene ordinata ‘sti quattro peracottàri non sarebbero andati molto al di là della qualifica di impiegatucci, infrattati in qualche archivio a spostar faldoni; in una società competitiva, in trasformazione, e, con gergo abusato, meritocratica sarebbero stati subito emarginati – non resistendo alla competizione con gli intelligenti – o bollati come onnivori parassiti; in una società di merda (e qui tirate da soli le conclusioni del caso) arrivano ai vertici, come mosche su stronzi fumanti, e ci stanno fin tanto che il contesto stesso che li ha prodotti, ripassando, non li seppellisce completamente.

{ 0 comments }

…oh!

Todomodo

“Prega con noi e tornerai etero”, a dirlo (la Repubblica, 4.6.2015) è Luca Di Tolve, quello cantato da Giuseppe Povia in “Luca era gay” a un Sanremo di qualche anno fa. Il seminario – perché è di questo che si tratta, di un fottutissimo seminario full-immersion –, organizzato da un’associazione cattolica che propugna le “teorie riparative” dell’omosessualità sotto l’ègida (manco a dirlo) di un frate e un padre passionista, ha i toni gravi delle riunioni settarie degli ex fumatori o degli alcolisti pentiti: «L’omosessualità non esiste – va ripetendo fiero Di Tolve – e voi non siete gay, siete solo persone che hanno un problema» e giù giù per questa china. «Si comincia – è detto nell’articolo – il venerdì e si finisce il martedì. Cinque giorni di messe, canti, preghiere,invocazioni dello spirito santo, confessioni, meditazioni con la luce spenta e soprattutto slide e lezioni dai titoli tipo “I meccanismi della confusione sessuale”, “Narcisismo e idolatria relazionale” e così via.»
E in questo rimbombar di preghiere e profumo d’incenso, a rincoglionir ancora di più ‘sti smidollati che ci cascano come pere flosce, l’ex “vizio” degli attuali leader viene narrato, par di capire, a mo’ di edificante esempio, magari con parole e sospiri da dama di San Vincenzo. Il tutto, e qui l’inculatura, al prezzo di 185 euro pro capite, soddisfatti o meno che si sia del risultato raggiunto – e i gonzi fanno “oh!”.

{ 0 comments }