by braucci
on 24 Luglio 2015

I fatti sarebbero andati più o meno così: «uno degli investigatori fa ascoltare ai cronisti Pietro Messina e Maurizio Zoppi il brano di un audio, presentandolo come la dichiarazione di Tutino al governatore Rosario Crocetta sulla necessità di “far fuori” l’assessore Lucia Borsellino» e, in seguito ai riscontri avuti da altre (cosidette) autorevoli fonti, «per non danneggiare le indagini in corso e soprattutto non scrivere falsità», avuto l’ok, visto che «[a]nche altri giornalisti nell’isola hanno sentito parlare di una registrazione di quel tenore» si decide di pubblicare l’intercettazione.
Leggo e rileggo e mi pare che la ricostruzione offerta da l’Espresso (il virgolettato, infatti, potete leggerlo nel numero in edicola questa settimana) pisci – per usare terminologia tecnica – da tutte le parti e lo stridere di unghie a scivolar giù lungo lo specchio è rumore penoso e straziante assai. Possibile mai – chiedo – che basti “presentare” un audio a un cronista per montare un caso dalle conseguenze politiche e personali prevedibilissime? senza il contraddittorio e senza fornire elementi certi per il controllo delle fonti? nascondendosi semmai dietro al vessillo della libertà di stampa che, in questo contesto, viene a piegarsi al volere del regime?!
E – ancora – l’ordine, sempre così attento a che una soubrette, priva del regolamentare tesserino, non ponga domande al politico di turno, com’è che (ancora) tace difronte a un vero giornalista che pubblica bubbole su un vero giornale, diffamando deliberatamente un politico?
In questo quadro a tinte fosche il risultato chiaro – l’unico nel contesto – è il discredito. Della giustizia, che si abbassa a protagonista del teatrino della politica; del giornalismo, che s’accontenta delle briciole che ad arte le vengono offerte; e naturalmente della politica, che arranca in un sistema inquinato dal giustizialismo un tanto al chilo, dalla facile demagogia e dal becero populismo.
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by braucci
on 24 Luglio 2015
“Erano ragazze e ragazzi che credevano nella possibilità di cambiare il mondo attraverso l’impegno politico. È per questo che li hanno uccisi.”
Giovanni De Mauro, Internazionale, Numero 1112 • Anno 22
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by braucci
on 23 Luglio 2015
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Temo mi manchino gli strumenti culturali o, peggio ancora, di essere troppo rozzo per cogliere la sublime differenza tra “strage impunita” e “strage punita dopo 41 anni”. [*]
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by braucci
on 22 Luglio 2015
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Può darsi sia utile a non compromettere la lettura di questo post, dunque lo scrivo qui all’inizio e per sicurezza lo ripeterò alla fine: sono favorevole alla liberalizzazione della cannabis.
Parto da un assunto: la cannabis è già libera. Lo spaccio avviene alla luce del sole e dei lamponi ed è innegabile il fallimento del proibizionismo attuato fin’ora con caparbietà e ottusa miopia contro ogni pragmatica evidenza. La criminalità ingrassa i suoi affari nel proibizionismo scaricando il costo sociale per il contrasto alle droghe leggere sul contribuente; droghe il cui mercato — è scritto nel “Libro bianco” del Consiglio delle Scienze sociali — è uno di quei mercati dell’offerta più che della domanda: miniera d’oro per tutta la criminalità organizzata internazionale. Nel nostro Paese il traffico di droga genera la maggior parte dei ricavi illegali, circa 24 miliardi di euro. La legalizzazione di questo mercato produrrebbe, di fatto, la fine dello spaccio; indebolirebbe una linea di ingrasso per gli affari illeciti; contribuirebbe al controllo della distribuzione, della coltivazione e della qualità. I vantaggi sociali ed economici, insomma, sono evidenti.
Già immagino l’obiezione: e la salute? Voglio dire: la droga, si sa, fa male? Ribatto, care anime belle, con una domanda: e l’alcool? E il fumo? Da quand’è, per dire, che un bicchiere di limoncello fa bene alle coronarie? In realtà, il proibizionismo ha semplicemente creato un enorme costo sociale. Basti pensare, tanto per fissare le idee, alle enormi risorse impiegate per provare ad arginare gli effetti di questa battaglia persa in anticipo: polizia, magistratura, carceri. A tutto ciò s’aggiunga il gettito potenziale evaso, l’export di denaro verso i paesi produttori, il ricavo esentasse per i trafficanti, l’import di prodotto di cui non esiste di fatto alcun controllo di qualità. Insomma, conti alla mano, nessun buon amministratore accetterebbe di proibire: non funziona ed è altamente dispendiosa come scelta. Basterebbe — per convincere gli scettici — sostenere la necessità di avere una tassazione alta per gli stupefacenti (come avviene per l’alcol, ad esempio) e vincolarne il gettito per la costruzione — tanto per dire — di strutture ricreative per i bambini o, magari, per finanziare la ricerca. Beh, a sto punto mi pare di aver detto abbastanza sull’argomento, è l’ora di un goccio di limoncello ghiacciato.
Ah, dimenticavo: sono favorevole alla liberalizzazione della cannabis.
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by braucci
on 22 Luglio 2015
C’è una particolare forma di generalizzazione detta indebita che consiste nel sostenere una tesi facendo leva su una generalizzazione condotta a partire da un campione non rappresentativo, costituito cioè da un solo esempio o, il più delle volte, da un numero insufficiente di esempi significativi. Ora, noi sappiamo che argomentare è uno strumento di persuasione e che il fine di persuadere può servirsi di ogni mezzo, retto o scorretto, valido o invalido. Non ci dobbiamo stupire, quindi, se questa particolare forma di fallacia sia pratica comune di chi ha il piacere di sostenere tesi preconcette o che comunque mirino a lisciare il pelo nel verso giusto al sentire comune. Ma forse è meglio ricorrere a un esempio per penetrare il movente psicologico che spinge all’uso di questo strumento retorico. Prendiamo il corsivo di ieri del vicedirettore de la Stampa, Massimo Gramellini. Il pezzo — che potete leggere qui — ha una tesi di fondo null’affatto celata, che mira a dimostrare come i poliziotti bianchi in America siano naturalmente cattivi e pronti a legnare chiunque. Tesi, invero, ardita da provare ma che il Gramellini affronta con indomita leggerezza facendo leva sulle emozioni suscitare dalla foto (quella stessa che ho posto in testa a questo post). “In fiduciosa attesa — chiosa a effetto il vicedirettore — della prossima foto, quella del poliziotto bianco che soccorre il manifestante nero”.
Termini la lettura e ti ritrovi proiettato in un mondo in “bianco e nero” assai diverso da quello “a colori” (sì, lo so: schizza poesia da tutte le parti), schiacciato tra gente insensibile e col manganello svelto come raccontava quella foto — era il novembre del 2014 — scattata a Portland (Oregon) in cui il sergente Bret Barnum abbraccia il dodicenne Devonte Hart. La foto, nel caso in cui non la ricordaste, potete andare a guardarvela qui, in bella mostra, sul sito de la Stampa. Magari — voglia e tempo permettendo, dico — potreste girargliela anche al vicedirettore.
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by braucci
on 21 Luglio 2015
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A parte per questo selfie di gruppo che i ragazzi avevano pubblicato su Twitter pochi minuti prima di essere dilaniati da una loro coetanea kamikaze, la notizia dei trenta giovani socialisti turchi e curdi assassinati ieri a Suruc non ha avuto, almeno per ora, risvolti particolarmente significativi. Di più: è stata in pratica sottovalutata sia dai media europei che — e questo quello che più impressiona — da parte dell’Internazionale socialista (o da quello che ne resta). E dire che quei ragazzi socialisti, riuniti a Suruc, erano lì a manifestare la necessità di un impegno concreto contro la discriminazione etnico-religiosa e per la giustizia sociale che non riesce a rassegnarsi ai confini. Le idee di quei ragazzi, è vero, non moriranno con loro, ma è possibile — chiedo — ignorare che l’infame atto miri al cuore dell’ideale internazionalista e ci riguarda, purtroppo, tutti da vicino?
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by braucci
on 21 Luglio 2015
Ah, quindi non era sufficiente mettere la foto del profilo con l’arcobaleno? [*]
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by braucci
on 21 Luglio 2015
“Live the full life of the mind, exhilarated by new ideas, intoxicated by the Romance of the unusual.”
Ernest Hemingway
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by braucci
on 21 Luglio 2015
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Il terrore dell’Is supera il confine siriano e fa strage in Turchia, uccidendo 30 persone. A essere colpito è un centro culturale a Suruc, a una decina di chilometri dalla frontiera. Lì, poco prima di mezzogiorno, un attentatore kamikaze — leggo dai giornali — si è fatto esplodere proprio in mezzo a un gruppo di attivisti socialisti giunti da Istanbul, Ankara, Smirne e Diyarbakir. Tutti si erano dati appuntamento sul posto prima di una missione di aiuto che fino a domenica li avrebbe condotti nella vicina città curdo-siriana di Kobane, martoriata da mesi di conflitto con l’Is.
Una strage, quella di ieri, simile a quella perpetrata sull’isola norvegese di Utoya nel lontano 2012 dal fanatico difensore della purezza etnica ariana Breivik. Lì — mi pare di ricordare — i morti furono una settantina: massacrati, con crudele freddezza, uno a uno. Dettaglio che li accumunava a quelli di ieri: erano giovani socialisti.
Onoriamo il ricordo di questi militanti che a ogni latitudine si battono per la giustizia sociale e contro la discriminazione su base etnica e religiosa. La Turchia non è affatto una terra lontana: è la linea di frontiera mobile di un conflitto che riguarda da vicino tutti noi. Da ieri, ancora più vicino. Troppo vicino.
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by braucci
on 20 Luglio 2015
Mentre la maggior parte di noi boccheggia nel grande caldo di questi giorni, su Plutone le cose vanno decisamente meglio: la temperatura media è di -228 °C. Il Sole, visto da laggiù, è null’altro che una delle tante piccole stelle che trapunta il cielo notturno: puntino luminoso a rischiarar la notte.
Per arrivarci, la sonda americana New Horizons ha impiegato nove anni e mezzo: niente, se paragonati ai 248 anni scarsi che il pianeta impiega per compiere la sua orbita di 36.5 miliardi di chilometri intorno al Sole.
Godersi le foto di quel pianeta da vicino – le fotografie ad alta risoluzione ci consentono di vedere dettagli come se sorvolassimo Plutone con un aereo di linea – ha insito qualcosa di magico e, al contempo, di terribilmente realistico: l’immagine giallo-rosa di Plutone riesce a trasmette l’emozione dell’autentico, il brivido del viaggio e l’azzardo dell’ignoto fino alle porte dello spazio profondo.
Eppure, il volto di Plutone non è poi molto diverso da quello che vediamo ogni notte alzando gli occhi alla sfera celeste: anche il nostro satellite naturale, la nostra amata Luna, è nient’altro che un disco butterato di crateri e vulcani, solcato da catene montuose e crepacci, attarversato da vallate e ampie pianure; panorama desolato e senza vita. Un po’ come se il nostro unico satellite naturale fosse lì, ogni notte, a mostrarci la desolazione dell’universo e per suggerirci, se non l’unicità, certo l’eccezionale straordinarietà del nostro pianeta: unico, tra quelli del sistema solare, che visto dallo spazio si mostra vestito di un ammaliante blu.
Così, continueremo ad esplorare l’universo fino alla fine dei (nostri) tempi, secondo il nostro destino di ulissidi: e ogni volta che scopriremo un’altra luna inospitale torneremo a casa con una lieve inquietudine, e un poco sbigottiti.
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