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Un posto ci sarà…

Un posto ci sarà
Per questa solitudine
Perché mi sento così inutile
Davanti alla realtà…

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Risonanze dell’Anima…

Nelle pieghe del tempo, giace una foto: un attimo sospeso, un respiro trattenuto nella tempesta incessante dei giorni. È un frammento di eternità, custodito in uno spazio non più grande della palma di una mano. Osservandola, si avverte il lento scorrere di un fiume passato, che serpeggia tra le rocce della memoria. Può essere l’immagine di un vecchio albero, le cui radici, ancorate nel profondo, sembrano raccontare storie di estati passate sotto la sua ombra fresca, di primavere in cui la sua chioma fioriva in una danza di colori. Oppure il volto di un bambino, i cui occhi brillano di una luce antica, come se contenessero in sé tutto l’universo. Le emozioni evocate da una foto non sono semplici ricordi: sono echi di un passato che vive nel profondo di noi, che vibra nelle corde più intime dell’anima. Sono come melodie dimenticate, che tornano in mente in un momento inaspettato, portando con sé la dolcezza di un abbraccio perduto, l’ardore di un bacio rubato, la malinconia di un addio. E in quella frazione di secondo, mentre la mente vaga tra le strade polverose della memoria, ci rendiamo conto che la foto non è solo un’immagine: è un ponte tra mondi, una porta che collega il presente con un passato che, per quanto lontano, continua a vivere, a respirare, a pulsare in ogni fibra del nostro essere. E mentre il mondo intorno continua a girare, inesorabile, quella foto ci invita a fermarci, a riflettere, a immergerci nel sacro fiume del ricordo, dove ogni goccia, ogni riflesso, ogni sussurro, è un invito a celebrare la bellezza dell’effimero, l’eternità dell’attimo. E in quel silenzio, si riscopre l’essenza pura dell’esistenza, l’ineffabile magia dell’essere.

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hic habitat felicitas…

Nelle pieghe della storia romana, le strade lastricate e gli archi maestosi sono solo la superficie. Più in profondo, oltre l’edificio pubblico e la maestosità degli dei, c’è un simbolo che risuona con potenza e mistero: il fallo.
Mentre il cielo di Roma era tappezzato di stelle e il Tevere scorreva placido, il fallo veniva celebrato non per la sua natura provocatoria, ma come un simbolo di protezione e fertilità. Era un emblema di ciò che è nascosto, ma essenziale, qualcosa che ogni romano sentiva in profondità, pur non parlandone sempre apertamente. Nelle strade romane, alla vista di tutti, c’erano rappresentazioni del fascinus, un fallo divinizzato. Non era un oggetto di derisione o vergogna, ma piuttosto un talismano. Un segno che, nonostante le battaglie e i tradimenti, la vita doveva continuare, prosperare e proteggersi dalle ombre incombenti.
Gli antichi romani sapevano che la vita è un ciclo. La nascita, la crescita, la morte e poi di nuovo la nascita. E in mezzo a tutto questo, il fallo come simbolo dell’essenza stessa della vita, un segno del potere generativo dell’uomo e della terra. Era anche un amuleto, uno scudo contro gli occhi invidiosi e i mali invisibili. Quella forma semplice, a volte ritratta in modi che per noi potrebbero sembrare grotteschi, era in realtà un omaggio alla forza della vita.
E così, mentre un generale trionfante sfilava per le strade di Roma, un fascinus veniva appeso sotto il suo carro, proteggendolo dagli sguardi gelosi. Era un simbolo potente, sì, ma anche un ricordo umile delle radici della vita e della necessità di proteggere ciò che è prezioso. La parola stessa “fascinare”, che oggi usiamo per descrivere un’attrazione irresistibile, ha le sue radici nel fascinus. Ma mentre oggi potremmo pensare al fascino come qualcosa di leggero e superficiale, per i romani aveva una profondità che toccava l’anima.
In tutto questo, c’è un invito a guardare oltre la superficie. A riconoscere che dietro ogni simbolo, anche il più audace, c’è una storia, una cultura e una fede profonda. La Roma antica ci sussurra ancora, se solo ci fermiamo ad ascoltare. E in quei sussurri, il fallo emerge non come un simbolo di volgarità, ma come un emblema dell’eterno ciclo della vita.

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Considero un valore…

Considero un valore la parola data,
Una stretta di mano, come un sigillo;
Parlare chiaro, senza farla lunga,
Promesse vane feriscono, più d’un coltello.

Rispetto per gli altri, per ogni gesto,
Per le idee, il tempo, ogni sforzo fatto;
Ognuno ha la sua storia, il suo contesto,
Un sogno nel cassetto, un passo dato.

Essere leali, anche quando è scuro,
Dire la verità, senza maschera e vezzo;
Riconoscere errori, senza muro,
Correggerli con cuore, senza peso.

Pazienza nel tempo, nelle attese,
Cadere e rialzarsi, senza mai cedere;
Credere nel futuro, nelle imprese,
Anche quando è dura, continuare a credere.

Saper ascoltare, senza intermezzo,
Mettere da parte l’orgoglio e il giudizio;
Capire l’altro, trovare il pezzo,
Di puzzle che manca, nel nostro servizio.

Generosità, senza contropartita,
Donare senza attendere una ricompensa;
Empatia che unisce, che invita,
A costruire ponti, senza difesa.

In questo mondo veloce, tutto corre,
Ma certi valori non passano mai;
Sono le fondamenta, che non si sciolgono,
Guidano ogni passo, in ombra o al sole, come fai.

Considero valore, ogni giorno che va,
Tutto ciò che ho scritto, e ciò che sarà.

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I Numeri di Jacobsthal…

Gli studi matematici, lungo i secoli, hanno prodotto una varietà di sequenze numeriche affascinanti. Una di queste è la sequenza di Jacobsthal, spesso oscurata dalla sua controparte più celebre, la sequenza di Fibonacci. Tuttavia, la sequenza di Jacobsthal ha delle proprietà uniche che la rendono degna di esame.

I numeri di Jacobsthal sono definiti dalla seguente relazione di ricorrenza:

Proprietà e Caratteristiche

  1. Crescita esponenziale: Sebbene inizino con valori piccoli, i numeri di Jacobsthal crescono esponenzialmente. La loro crescita è influenzata dal fattore 2 nella formula di ricorrenza.
  2. Relazione con la sequenza di Fibonacci: Esiste una relazione diretta tra i numeri di Jacobsthal e quelli di Fibonacci. È possibile esprimere un numero di Jacobsthal in termini di numeri di Fibonacci.
  3. Coefficiente binomiale: Un’altra interessante proprietà dei numeri di Jacobsthal è la loro relazione con il coefficiente binomiale, particolarmente nel conteggio delle combinazioni in cui elementi adiacenti sono esclusi.

Applicazioni e Significato

  1. Combinatoria: I numeri di Jacobsthal sono utilizzati in combinatoria, in particolare nel conteggio delle stringhe di lunghezza (n) formate da 0 e 1, dove due 1 non possono essere adiacenti.
  2. Studi di Tiling: Un’area che beneficia dell’utilizzo dei numeri di Jacobsthal è la teoria dei rivestimenti. Questi numeri possono rappresentare il numero di modi in cui una griglia \(1 \times n\) può essere ricoperta da piastrelle di dimensioni \(1 \times 1\) e \(1 \times 2\).
  3. Numero di Sottosequenze: I numeri di Jacobsthal sono legati al conteggio delle sottosequenze di una sequenza data, con restrizioni particolari sugli elementi adiacenti.

La sequenza di Jacobsthal, in conclusione, pur essendo meno conosciuta rispetto ad altre sequenze famose, detiene un fascino matematico e ha diverse applicazioni pratiche. L’analisi della sua crescita, delle sue proprietà e delle sue relazioni con altre sequenze rivela l’interconnettività intrinseca dei concetti matematici e il loro potere di descrivere fenomeni complessi in modi sorprendentemente semplici.

Il codice Python, qui riportato, stampa la sequenza dei numeri di Jacobsthal fino a n:

def jacobsthal(n):
    if n == 0:
        return 0
    elif n == 1:
        return 1
    else:
        return jacobsthal(n-1) + 2*jacobsthal(n-2)

def stampa_jacobsthal_fino_a(n):
    for i in range(n+1):
        print(jacobsthal(i))

# Test
n = int(input("Inserisci n: "))
stampa_jacobsthal_fino_a(n)
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Nella polvere agitata del tempo, sotto il velo impalpabile dell’oblio, si nasconde talvolta la perla più preziosa: una storia non raccontata, un genio sconosciuto. La storia di Vivian Maier è quella di un silente osservatore che, con il suo sguardo, ha saputo catturare l’essenza stessa del vivere.


Nata sotto un cielo di contrasti, tra l’ardente New York e le fredde Alpi francesi, Vivian ha tracciato un sentiero segreto, lontano dagli occhi del mondo. Un percorso iniziato nell’ombra di un maso francese, per poi irradiarsi nelle arterie pulsanti di New York e Chicago. Eppure, nonostante i suoi passi la conducessero attraverso l’effervescenza urbana, era la solitudine la sua costante compagna.


I bambini, con la loro innocenza disarmante, erano i protagonisti silenziosi delle sue storie. Con l’empatia di chi conosce la purezza e la fragilità dell’infanzia, Vivian ha immortalato sguardi, sorrisi, lacrime, momenti effimeri che, altrimenti, si sarebbero persi nel vento del tempo. Ma non solo bambini: nelle sue immagini troviamo anche donne, anziani, indigenti. Gli emarginati, i dimenticati. Quei volti che, forse, solo lei sapeva realmente vedere. E poi c’è la strada. La strada che conosce tutti i suoi passanti, che raccoglie le storie taciute, i sogni infranti e le speranze silenziose. Vivian era lì, in mezzo alla gente, ma sempre a una distanza protettiva. Il suo era un danzare discreto tra le persone, un intreccio di ombre e luci, di sguardi rubati e momenti congelati nell’eternità. Ma più di tutto, erano gli autoritratti a rivelare l’anima di questa fotografa enigmatica. Si nascondeva e si cercava in ogni riflesso, in ogni angolo di vetro o specchio, come se stesse tentando di rispondere alla domanda: chi sono? Eppure, anche nella sua incessante ricerca di sé, rimaneva un enigma. E proprio come le montagne alpine nascondono valli segrete, la sua arte celava profondità insospettate. Il passaggio al colore, la sperimentazione cromatica, era la sua personale rivoluzione, una danza di tonalità che la faceva sentire, forse, un po’ più vicina al cuore pulsante del mondo.
Nelle sue riprese in Super 8, il tempo sembrava fermarsi. Il mondo attraverso i suoi occhi era una sinfonia di immagini, una narrazione silente di gesti, sguardi e momenti. Un racconto di semplicità, di dettagli che diventano universali, di storie che, pur nascoste, parlano all’anima di ciascuno di noi.


Vivian Maier non ha mai cercato la luce della ribalta, ma la sua ombra, sottile e persistente, ha disegnato sul tessuto del tempo un ritratto indimenticabile della vita quotidiana. Un sussurro silenzioso che, ascoltato con attenzione, racconta la storia di un genio sconosciuto, di una donna che ha visto il mondo con occhi diversi e lo ha fatto suo, fotogramma dopo fotogramma.

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Onde di Serenità…

Il mare, nella sua vastità, era per me un abbraccio di pace, non un invito all’ozio, ma un canto di serenità che solo la natura sa offrire. Con ogni onda, portava silenziosi messaggi di calma all’anima mia.

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Visualizing the Möbius Strip in Python…

The formulation of the Möbius strip involves a parameterization in terms of two variables: \(\theta\), which is an angle that varies from \(0\) to \(2 \pi\), and \(w\), which is a distance from the centerline of the strip and varies between -1 and 1.

Given these parameters, the \((x, y, z)\) coordinates for points on the Möbius strip can be determined using the following equations:

import numpy as np
import matplotlib.pyplot as plt

# Create a Möbius strip
theta = np.linspace(0, 2 * np.pi, 100)
w = np.linspace(-1, 1, 20)
theta, w = np.meshgrid(theta, w)
phi = 0.5 * theta
r = 1 + w * np.cos(phi)
x = np.cos(theta) * r
y = np.sin(theta) * r
z = w * np.sin(phi)

# Plot the Möbius strip
fig = plt.figure()
ax = fig.add_subplot(111, projection='3d')
ax.plot_surface(x, y, z, edgecolor='k', color='c')
ax.view_init(50, 30)  # Adjust view angle for better visualization
ax.set_title('Möbius Strip in 3D')
plt.show()

Visualization Strategy:

  1. Parameter Space Definition: We begin by defining our parameter space for θ and w. The variable θ spans the entire 360-degree range of the strip, while w varies between -1 and 1 to account for the width of the strip.
  2. Meshgrid Creation: Using NumPy’s meshgrid function, we create a grid of points in the (θ, w) parameter space. Each combination of (θ, w) corresponds to a unique point on the Möbius strip.
  3. Position Calculation: For every combination of (θ, w), we compute the x, y, and z coordinates using the above equations.
  4. 3D Plotting: Using Matplotlib’s 3D plotting capabilities, we then plot the computed (x, y, z) coordinates as a surface. The edgecolor is set to ‘k’ (black) to distinguish between individual segments on the strip, and color is set to ‘c’ (cyan) for the surface color.
  5. View Angle Adjustment: The line ax.view_init(50, 30) adjusts the view angle of the 3D plot, making it easier to perceive the Möbius strip’s twist.
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Nel profondo delle acque della Bretagna, una tela d’acqua disegna paesaggi inaspettati. Qui, l’obiettivo di Nicolas Floc’h si immerge, esplorando un mondo dove i contorni della terra e del mare si confondono in una coreografia naturale. E cosa trova? Non solo la semplicità di un mondo subacqueo, ma anche il complesso dialogo tra vita e materia, forma e vuoto.

Le fotografie, scattate tra il 2015 e il 2021, tracciano una narrazione visiva che è più che la somma delle sue parti. Sono un atto di devozione alla molteplicità della natura, all’evoluzione perpetua del suo essere. In esse, il mare non è solo una distesa d’acqua, ma un universo di silenzi e suoni, di movimenti e immobilità. È il paradosso del mare che qui diventa palpabile. Da una parte, il luogo ancestrale da cui è scaturita la vita terrestre; dall’altra, una dimensione a sé, in perenne trasformazione. I confini si sfumano, le metriche tradizionali crollano, il concetto stesso di spazio viene ridefinito. E ciò che emerge è un panorama di materie in costante movimento, come fossero le pennellate di un pittore astratto che rifiuta di aderire a una forma fissa.
Floc’h non è soltanto un testimone di queste metamorfosi, ma un artista che sa come catturarle. La sua tecnica, precisa e rigorosa, evoca una sensazione quasi meditativa. Le immagini invitano lo spettatore a soffermarsi, a sondare i dettagli, a confrontarsi con l’ambiguità delle forme e la fluidità delle composizioni.

In questo viaggio visivo, il mare non è mai un soggetto passivo; è un protagonista che parla attraverso ombre e luci, attraverso la presenza tangibile di alghe e coralli, attraverso la promessa di un mondo sconosciuto ma straordinariamente familiare. Così, nel suo obiettivo, Nicolas Floc’h coglie non solo la bellezza effimera del sottosuolo marino, ma anche la profondità filosofica di un ambiente che, nel suo incessante cambiamento, rappresenta la quintessenza della vita stessa.

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