5 images selected from my last 35mm film roll.
“A large portion of my work is concerned with people because people are the most inventive and news-making part of our lives. Yet I am as much attracted to the evidence of their presence and efforts, whether good or evil, as I am to the people themselves”
Erich Hartmann
Una foto scattata con una macchina analogica costringe a pensare, a pianificare lo scatto, a scegliere cosa scattare e cosa no: spinge il fotografo a fare una selezione iniziale; l’attesa, poi, tra fare la foto e vederla, nel tempo che passa tra uno scatto e lo sviluppo, permette di essere sicuramente più distaccati, più obbiettivi, e – in un certo senso – più severi, nel valutare la foto stessa.
Ilford Delta 400 (iso400) su Pentax Spotmatic F & HELIOS 44M-4 2/58 – Sviluppo in Kodak TMAX Dev (1+4) per 6:30 min a 20°C.
In Photographs 1997 – 2017, Hannah Starkey, nata a Belfast, ha catturato i gesti dell’esperienza femminile quotidiana: una donna che riflette sulla femminilità.
La Starkey è un’artista che ha scritto la storia della fotografia fin dagli anni ‘90, momento in cui ha cominciato a dedicare il suo lavoro alle donne e al modo in cui vengono rappresentate tramite le immagini – in contrapposizione all’uso che ne facevano i magazine del tempo.
I suoi ritratti femminili, per lo più magnifiche messe in scena dal gusto cinematografico, si propongono di mostrare momenti privati e spesso nascosti di riflessione, alienazione o interazione sociale femminile, che a un occhio non attento si perdono nel flusso della vita quotidiana. Come moderni dipinti di genere, le immagini di Starkey sono guidate da narrazioni familiari e tendono a giocare sui linguaggi visivi di diversi generi fotografici – il diaristico, la street, il documentario, il cinematografico, quello d’arte e moda… giusto per citarne alcuni.
Questo catalogo, a voler riassumere, raccoglie due decadi di lavoro della Starkey e aiuta a ripercorrere e approfondire la sua opera: una pietra miliare per le discussioni a proposito del “fermale gaze”.
Il progetto “Für mich” è la storia autobiografica di Sina Niemeyer sull’abuso sessuale. La Niemeyer combina diverse strategie artistiche come la fotografia, la scrittura, il design grafico e strati molteplici di materiale vario come vecchie foto di famiglia, immagini distrutte, autoritratti e oggetti trovati.
È una rivelazione auto-riflessiva, ma serve anche come terreno di identificazione – se si tiene conto che le statistiche parlano di tre donne su cinque che prima o poi subiranno abusi sessuali.
“Für mich” mostra a diversi livelli ciò che l’abuso sessuale può significare per la vita di qualcuno, affrontando emozioni confuse e impalpabili che sono spesso difficili da analizzare solo a parole.
Il progetto inoltre vuole ricordare alle donne sopravvissute agli abusi che non sono sole, sperando che possa aiutarle a riflettere sui propri sentimenti, ché la fotografia intimista non parla solo di “quel corpo”, di “quella famiglia”, di “quella storia”, ma delle nostre: questa – in estrema sintesi – è la grande capacità di fare arte e fotografia.
In TTP, Hayahisa Tomiyasu raccoglie una serie di immagini scattate dalla finestra del suo appartamento all’ottavo piano a Leipzig, in Germania.
Soggetto di questi scatti è un semplice tavolo da ping pong che assume in ogni fotografia una funzione diversa. Da lettino dove sdraiarsi a prendere il sole diventa panca per una lezione di addominali, da tavolo per un picnic in estate è capace di trasformarsi nel piedistallo per una ginnasta in una giornata piena di neve.
In questo suo lavoro, Tomiyasu spia le nostre abitudini e la nostra quotidianità osservando con ironia il comportamento umano. Nel mentre, è capace di regalare un’anima a un oggetto inanimato come un banale tavolo da ping pong, raccontando la sua vita e, di riflesso, la nostra.
Ventisette anni di saluti. Ventisette stagioni che si susseguono: sorrisi, cani che invecchiano e bambini che diventano adolescenti, mogli che perdono i loro mariti e una macchina fotografica – quella dell’autrice – che alla fine perde il suo soggetto.
Per ventisette lunghi anni, Deanna Dikeman ha fotografato i genitori che la salutavano sulla porta di casa dopo ogni sua visita. Con i loro sorrisi stampati sul volto, mentre scuotono le mani, l’artista sembra voler trattenere qualcosa di quei momenti, nella consapevolezza che ogni saluto potrebbe essere l’ultimo. ‘Leaving and Waving’ è un libro fotografico sul morire, sulla vita: offre un’esperienza contemplativa dell’appassire della vita nel corso di una sequenza fotografica che testimonia l’inesorabile azione del tempo: la pelle che si fa cadente, il corpo che si indebolisce e le azioni quotidiane che diventano sempre più difficili da compiere.
La narrazione è minimale ma profonda: la ripetizione per tutto il libro dello stesso semplice gesto forgia un significato rituale, accumulando potere emotivo.
Il libro di Dikeman termina con l’immagine del garage dei suoi genitori rimasto vuoto, senza più nessuno a compiere il gesto di speranza ripetuto più e più volte nel corso degli anni.
“Per la prima volta nella mia vita, nessuno mi stava salutando dal vialetto”.
Il rituale continua altrove, in qualsiasi luogo.