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un invito a essere umani

Doisneau, un narratore silenzioso delle strade di Parigi, uno scultore di luce, che, con la sua macchina fotografica, plasma storie di luce e ombra. Diceva: “Non fotografo la vita come è, ma come mi piacerebbe che fosse”. In queste parole si cela il mistero del suo sguardo, capace di tracciare in ogni scatto un desiderio, un’aspirazione.

Osservando le sue opere, come Il Bacio dell’Hotel de Ville o la serie su Les Halles, è come se si srotolassero davanti ai nostri occhi versi di una poesia invisibile. Versi che parlano di un istante che fugge, che parlano di volti, di sguardi, di gesti colti nell’atto di divenire eterni.

Nelle sue foto si respira la vita di una città, il suo pulsare incessante, il suo brusio continuo. Ma ciò che prevale è il silenzio, un silenzio colmo di storie, di sguardi, di gesti. È un silenzio che parla, che racconta la vita e l’umanità nel loro divenire quotidiano.

Doisneau possedeva un dono raro, quello di riuscire a vedere oltre il visibile, di toccare l’intangibile. Con il suo obiettivo riusciva a leggere il libro della vita, riusciva a cogliere tra le sue pagine il riso e il pianto, la gioia e la malinconia, l’amore e la solitudine.

Il suo sguardo sapeva ascoltare il silenzio. Un silenzio colmo di storie. Storie di gente comune, storie d’amore e di sofferenza, storie di luce e di ombra. E forse è questa la grande lezione di Doisneau: la vita è un insieme di piccole storie, di attimi che fuggono, e l’arte, in ogni sua forma, ha il dovere di custodirle, di renderle eterni.

Di fronte alle sue opere, è come se una voce sussurrasse all’orecchio: “Guarda, ascolta, senti… La vita è qui, ora. Non lasciare che un attimo sfugga, che una storia si perda”. E noi, di fronte a tale invito, non possiamo fare a meno di fermarci, di guardare, di ascoltare.

Il lavoro di Doisneau è un canto all’umanità, una celebrazione della vita quotidiana e della poesia delle piccole cose. È un invito a guardare il mondo con occhi nuovi, a scoprire la magia che si nasconde dietro ogni angolo, ogni persona, ogni storia. È un invito a vivere, a sentire, a sognare. È un invito a essere umani. È, in fin dei conti, un invito a guardare oltre, a toccare l’intangibile, a cogliere l’effimero, a sentire il silenzio. A sentire la vita.

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come un quadro in continuo movimento…

Attraverso la finestra, il mondo si dispiega. Non c’è sguardo che non venga catturato da quel quadrante di vita che, come un quadro in continuo movimento, si svela. Lì, in quel frammento di realtà, si assiste al silenzioso e instancabile avanzare del tempo. Scorre, il tempo, come acqua che non rispetta ostacoli, trasformando la durezza della roccia in morbidi contorni, e il verde della foglia in mille sfumature d’autunno.

Si percepisce, oltre quella finestra, il susurro delle paure. Paure che, come il vento tra i rami spogli, si insinuano, si fanno strada, sussurrando all’orecchio dell’essere umano il ricordo della sua fragilità. Eppure, queste paure, nonostante la loro apparente minaccia, sono insegnanti silenziose. Raccontano storie di prudenza, di consapevolezza, di rispetto per la grandezza dell’ignoto.

Ma la finestra mostra anche le speranze: raggi di sole che si infiltrano tra le nuvole, il primo germoglio che sfida il ghiaccio dell’inverno… le speranze sono lì. Nella freschezza di ogni alba, nella promessa di ogni stagione, nel sorriso aperto di un bambino, si può leggere il linguaggio silente della speranza.

Così, osservando attraverso la finestra, ci si trova immersi in un dialogo muto con l’esistenza. Il mondo esterno e quello interno si mescolano, si fondono, si rispecchiano. Non si è solo spettatori, ma partecipi, attori in un dramma senza tempo, dove il tempo stesso, le paure e le speranze danzano in un balletto eterno.

E nel guardare, nel percepire, si scopre qualcosa. Si scopre che la vita non è solo fuori, ma dentro. Che il tempo, le paure e le speranze non sono altro che il riflesso di ciò che si è, di ciò che si è stati, di ciò che si potrebbe essere. E così, nella danza silenziosa del mondo oltre la finestra, si trova un senso, un ritmo, un’armonia. Un’intesa sottile e delicata, ma profonda come il mare e vasta come il cielo.

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un’opportunità mancata…

Nell’oscurità dei sogni, un volto familiare risuona come un’eco. Al risveglio, l’amaro dell’assenza persiste. Silenzioso di natura, ho custodito parole e sentimenti nel profondo. Un tormento interiore che si manifesta come un vento gelido.

Il sogno, enigmatico e fugace, rivela la mancanza che mi affligge. Un codice criptico che svela ciò che ho celato. Il rispetto e la gratitudine inespressi avrebbero potuto esistere tra noi.

All’alba, l’assenza si fa tagliente, sanguina nel mio cuore. Mi rimprovero per non aver lasciato fluire parole ed emozioni. Ora lui non è più qui.

In questa marea di rimpianti, non trovo conforto. Solo la consapevolezza di un’opportunità mancata, di un legame che avrebbe potuto essere più forte, se solo avessi superato le barriere della mia riservatezza.

Il dolore persiste, un monito di ciò che avrei potuto dire, mostrare. Non c’è consolazione, solo il rimpianto che mi segna. Un legame più profondo, autentico, se solo avessi superato le barriere del mio carattere.

In questo oceano di rimorsi, solo la certezza di un’opportunità mancata, di un affetto non espresso, di un rispetto e gratitudine non comunicati. Questo è il mio tormento, il rimpianto che mi affligge.

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Josef Koudelka, nato nella terra di Boemia, maestro d’obiettivo e narratore di storie senza parole. Ha saputo rubare l’essenza del tempo, conservarla nelle sue immagini: un ingegnere del visibile che ha abbandonato l’aerodinamica dei corpi per dedicarsi all’aerodinamica delle anime.

Nato tra i rumori della storia, tra la rabbia silenziosa delle città, ogni scatto è un’impronta di un tempo che fuggiva, una testimonianza di un passato che si rifiutava di tacere. L’impegno civile di Koudelka si manifesta nel linguaggio universale delle sue immagini, fatte di luci e ombre, di forme e spazi vuoti.

La sua macchina fotografica, strumento di verità, ha tracciato un percorso attraverso l’acciaio dei confini e le pieghe nascoste della storia. Ogni fotografia è un pezzo di quel percorso, una traccia di quell’itinerario.

Nonostante le sue immagini possano sembrare aspre, raccontino di solitudine, alienazione e conflitto, in esse risiede una bellezza straordinaria. È la bellezza dell’umanità che persiste, che si afferma, che resiste. Nei volti immortalati, nelle architetture e nei paesaggi catturati, Koudelka ha delineato un ritratto dell’umanità caratterizzato da un’onestà cruda e una sensibilità poetica.

Le sue fotografie sono radicate nel terreno della verità, con rami che si estendono verso il cielo della bellezza. Sono un insegnamento, una lezione di dignità e resistenza, un monito a non dimenticare.

L’arte di Koudelka risveglia una consapevolezza, un senso di meraviglia e terrore, stimolando una riflessione profonda sull’essere umano e sul mondo. Attraverso le sue immagini, Koudelka racconta un mondo che è dolore e bellezza, disperazione e speranza, finito e infinito. Le sue fotografie toccano l’anima, permettendo di vedere oltre, di far sentire profondamente vivi.

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Il peso di un mazzo di fogli di carta…

SwiftUI, il framework di Apple per lo sviluppo di interfacce utente, offre un modello di programmazione dichiarativo che rende semplice la creazione di interfacce utente complesse. In questo articolo, esploreremo come utilizzare SwiftUI per creare un’applicazione che calcola il peso totale di un mazzo di fogli di carta data la dimensione, la grammatura e il numero di fogli.

Questa applicazione può essere molto utile in vari contesti. Ad esempio, può essere utilizzata in un ufficio per stimare il peso di un mazzo di documenti prima di spedirli, o in una tipografia per calcolare il peso di un lotto di carta prima di stamparlo. Inoltre, può essere utilizzata in ambito educativo per insegnare concetti di matematica e fisica, come l’area, la densità e il peso.

import SwiftUI

struct ContentView: View {
    @State private var length = ""
    @State private var width = ""
    @State private var grammage = ""
    @State private var numberOfSheets = ""
    @State private var weight: String = "0"

    var body: some View {
        Form {
            Section(header: Text("Dimensioni del foglio")) {
                TextField("Lunghezza in cm", text: $length, onEditingChanged: { _ in weight = "0" })
                    .keyboardType(.decimalPad)
                TextField("Larghezza in cm", text: $width, onEditingChanged: { _ in weight = "0" })
                    .keyboardType(.decimalPad)
            }
    
            Section(header: Text("Grammatura")) {
                TextField("Grammatura in g/m^2", text: $grammage, onEditingChanged: { _ in weight = "0" })
                    .keyboardType(.decimalPad)
            }
    
            Section(header: Text("Numero di fogli")) {
                TextField("Numero di fogli", text: $numberOfSheets, onEditingChanged: { _ in weight = "0" })
                    .keyboardType(.decimalPad)
            }
    
            Section(header: Text("Peso totale dei fogli")) {
                TextField("", text: $weight)
                    .disabled(true)
            }
    
            Button(action: calculatePaperWeight) {
                Text("Calcola Peso")
            }
        }
    }
    
    func calculatePaperWeight() {
        guard let length = Double(length), let width = Double(width), let grammage = Double(grammage), let numberOfSheets = Double(numberOfSheets) else {
            weight = "0"
            return
        }
    
        // Convert cm to m
        let lengthInM = length / 100
        let widthInM = width / 100
    
        let area = lengthInM * widthInM
        let weightValue = area * grammage * numberOfSheets
    
        // Convert weight to kilograms
        let weightInKg = weightValue / 1000
    
        weight = String(format: "%.2f", weightInKg)
    }

}

struct ContentView_Previews: PreviewProvider {
    static var previews: some View {
        ContentView()
    }
}

L’interfaccia utente dell’applicazione è composta da quattro sezioni per l’inserimento dei dati e un pulsante per attivare il calcolo. Le sezioni sono create utilizzando l’oggetto Section di SwiftUI, che consente di raggruppare logicamente i controlli dell’interfaccia utente. Le prime tre sezioni contengono TextField per l’inserimento della lunghezza e della larghezza del foglio di carta, la grammatura del foglio e il numero di fogli. La quarta sezione contiene un TextField disabilitato che visualizza il peso totale dei fogli di carta in chilogrammi.

Il pulsante “Calcola Peso” è creato utilizzando l’oggetto Button di SwiftUI. Quando l’utente preme questo pulsante, viene chiamata la funzione calculatePaperWeight, che calcola il peso totale dei fogli di carta.

SwiftUI utilizza un modello di gestione dello stato reattivo. In questo caso, utilizziamo la proprietà @State per creare delle variabili di stato per la lunghezza, la larghezza, la grammatura, il numero di fogli e il peso totale dei fogli. Queste variabili sono collegate ai TextField corrispondenti nell’interfaccia utente tramite il meccanismo di binding di SwiftUI, che consente di mantenere sincronizzati lo stato dell’applicazione e l’interfaccia utente.

Il peso totale dei fogli di carta viene calcolato utilizzando la formula:

Peso totale = Area * Grammatura * Numero di fogli

dove l’Area è calcolata come Lunghezza * Larghezza (in metri quadrati), la Grammatura è data in grammi per metro quadrato (g/m^2), e il Numero di fogli è il numero di fogli nel mazzo. Questo calcolo viene eseguito nella funzione calculatePaperWeight, che viene chiamata quando l’utente preme il pulsante “Calcola Peso”.

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Nel cuore del tempo si annidano figure di silenzio, ombre di vita e di luce impresse in bianco e nero. Si stagliano nel cuore d’America, non un cuore da cartolina, ma un cuore solido, nudo, spesso avvizzito, ma mai vinto nel suo spasimo. Queste ombre parlano il linguaggio di Robert Frank.

Frank, l’errante, l’interprete di luoghi e anime. Con lo sguardo accorto e la macchina fotografica a tracolla, ha scavato nell’anima polverosa di una terra a tratti dimenticata. Ha guardato i volti, gli sguardi, le strade, e li ha raccontati nel suo “Gli Americani”. Un libro che è un viaggio, una sequenza di momenti fermati per sempre, come in una danza di immagini che si susseguono, si rispondono, si contraddicono.

In “Gli Americani”, le sue fotografie sono come versi senza parole, storie scritte con la luce, dipinte in bianco e nero. Ogni immagine è un passo lungo il sentiero che si snoda attraverso l’America nuda e vera, senza trucco, senza finzioni. Una bellezza cruda ma pur sempre affascinante, sempre degna di essere raccontata.

Non sono i colori brillanti o le pose studiate a definire le sue immagini, ma la sincerità dei soggetti, la verità in tutto il suo crudo realismo, il contrasto tra luce e ombra. Le sue opere non lasciano spazio all’illusione, mostrano solo la realtà, dolce o amara che sia. Sono un diario di un’epoca, scritto con un linguaggio senza tempo, una sequenza che si srotola come un nastro di emozioni e pensieri, uno specchio dell’essere umano.

Frank, con la sua insaziabile curiosità, ha tracciato una mappa dell’anima umana in “Gli Americani”. Ha raccontato la sua nobiltà e la sua miseria, l’umana grandezza e l’umana caducità. Ha reso straordinario il comune, indimenticabile l’ordinario.

Ecco dunque Robert Frank, l’artista che sussurra la verità attraverso l’obiettivo, un narratore silenzioso che ci invita a vedere, a sentire, a comprendere. Con lui, la fotografia diventa non solo un’arte, ma un modo di guardare il mondo, di capire chi siamo e dove stiamo andando. Perché ogni volta che sfogliamo “Gli Americani”, ogni foto sembra la prima volta, e forse anche l’ultima.

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Letizia Battaglia, gemma di Palermo, è una tessitrice di storie raccontate attraverso l’inchiostro invisibile della luce e dell’ombra. La sua arte, simile a un fiume carsico, scorre sotto il manto del silenzio, nascondendosi prima di emergere in un fragore di rivelazioni.

La sua Palermo si svela, scatto dopo scatto, come un manoscritto di pietra, in cui i muri grigi risuonano delle voci del suo popolo, portatori di storie di dolore, di coraggio, di lotta e di speranza. Battaglia, con la sensibilità di un’antica narratrice, racoglie queste voci, ne cattura l’essenza, e ne plasma le immagini.

Le sue fotografie sono un grido muto ma assordante. Una cronaca della morte, della violenza, della paura che la mafia ha seminato come semi avvelenati nei campi della Sicilia. Tuttavia, aldilà della realtà atroce, Battaglia scopre l’umanità tra le crepe, il dolce nel mezzo dell’aspro, la bellezza nelle ombre. Come la luce più brillante che emerge dalle tenebre più dense, le sue fotografie rivelano la forza di un popolo che, nonostante tutto, non smette mai di cercare la vita, di nutrirla, di difenderla.

Ogni scatto è come un seme piantato nel terreno arido della disperazione, un seme che germoglia e fiorisce in un atto di ribellione contro l’indifferenza, la paura, la morte. Sono immagini che proclamano al mondo: “Ecco, guardate! Questa è la mia Sicilia, ferita e orgogliosa, vittima e combattente, morente e rinascendo ogni giorno!”

Attraverso il suo lavoro, Letizia Battaglia ha creato una narrazione visiva che è un inno alla vita e un’appello per la pace. Ha plasmato con la luce la memoria di un popolo, ha tracciato con l’ombra la sua speranza. Le sue fotografie sono altari laici, templi del ricordo in cui si prega non per i morti, ma per i vivi, per i sopravvissuti, per coloro che continuano a lottare, a sognare, a sperare.

E così, sul palcoscenico del mondo, Letizia Battaglia si fa cantore della vita, anche quando è intrecciata con la morte; si fa poeta della luce, anche quando emerge dalle ombre; si fa testimone della speranza, anche quando nasce dal grido disperato del dolore. Il suo obiettivo è uno specchio che riflette la nostra umanità, nelle sue miserie e nelle sue grandezze. Dopotutto, siamo noi il nostro viaggio. E nelle fotografie di Battaglia, quel viaggio è impresso con la forza della verità, la dolcezza della compassione, la ferocia della speranza.

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“Sulla strada” è un’opera di Jack Kerouac, tracciata come una mappa d’America sulla carta. È un canto alla libertà, un inno alla giovinezza, un racconto di viaggi e di vite vissute sull’orlo dell’esistenza. È come un fiume che scorre, un torrente che porta con sé storie di persone, di luoghi, di sogni e di delusioni.

Nelle sue pagine si respira l’odore dell’asfalto, si sente il rumore dei motori, si assaporano i ritmi del jazz. È una lettura che ti prende, ti avvolge, ti trascina in un viaggio attraverso l’America e attraverso te stesso. È un viaggio senza meta, senza fine, un viaggio che è tutto un cercare e un trovare, un perdersi e un ritrovarsi.

Kerouac scrive con un linguaggio crudo, diretto, vibrante. È come se parlasse con te, come se ti raccontasse la sua storia, la sua vita, i suoi sogni, le sue paure. È una prosa che ti tocca, che ti scuote, che ti fa riflettere. È un flusso di parole che scorre veloce, come il fiume della vita, come il tempo che passa.

“Sulla strada” non è solo un libro, è un’esperienza, un’avventura, un viaggio. È una porta aperta sul mondo, sulle sue luci e sulle sue ombre, sulle sue gioie e sulle sue tristezze. È una strada che si snoda davanti a te, una strada che ti invita a partire, a esplorare, a scoprire.

Nel leggere “Sulla strada” ci si immerge in un mondo di sensazioni, di emozioni, di scoperte. È un viaggio che ti cambia, che ti fa crescere, che ti fa capire che la vita è un viaggio, e che il viaggio è vita. È un libro che ti fa sentire vivo, che ti fa sentire parte di qualcosa di più grande, di più profondo, di più vero. È un libro che ti apre gli occhi, che ti fa vedere il mondo con occhi nuovi. È un libro che ti fa sognare, che ti fa sperare, che ti fa credere.

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un invito a guardare oltre…

Daido Moriyama, un faro nella tempesta multicolore dell’arte fotografica, è un sarto dell’immagine, un pittore del reale e del surreale, un cantore dell’umano e dell’inumano. Attraverso il suo sguardo, il normale diventa straordinario, il quotidiano si tramuta in eccezionale, il caos si risolve in armonia. La sua macchina fotografica, un semplice strumento nelle mani di molti, nelle sue diventa un ponte tra mondi, un’estensione del suo essere, un filo conduttore tra l’interno e l’esterno.

Moriyama esplora il suo soggetto come un poeta scandaglia il significato di una parola, come un musicista sonda le profondità di una nota. L’emozione, il pathos, si sprigionano dalle sue immagini come una melodia sussurrata al vento, penetrando l’osservatore in maniera profonda, lasciandolo spesso senza parole, immerso in un mare di riflessioni.

Uno degli emblemi di questa potente narrazione visiva è lo scatto “Stray Dog”, 1971. Un cane randagio, un abitante della strada, ci fissa dagli occhi lucidi, quasi accusatori, ma non privi di un certo desiderio inespresso. Sembra un fantasma, un’ombra evanescente, ma è lì, realissimo, che sancisce la nostra intima connessione con il mondo animale, con il mistero della vita, con la fragilità dell’essere.

In “Tights”, del 1987, Moriyama indaga l’intimità del femminile, trasformando una semplice gamba in un’opera d’arte, un inno alla sensualità e all’eleganza. La luce, come un pittore abile, disegna sulla tela del corpo linee e ombre, creando un gioco di forme e texture che affascina e sorprende.

Infine, in “Shinjuku”, 2002, Moriyama cattura l’energia pulsante di Tokyo, una metropoli che non dorme mai, una danza perpetua di luci e ombre, di volti e figure. In questo scatto, la città diventa un palcoscenico dove si rappresenta l’umanità in tutte le sue sfaccettature, un labirinto di strade e vicoli dove si intrecciano storie di vita, di amore, di solitudine.

Nell’opera di Moriyama, l’arte della fotografia diventa un percorso di scoperta, un viaggio nell’umano e nel divino, nel conosciuto e nello sconosciuto. Ogni scatto è un invito a guardare oltre, a cercare la bellezza nascosta nel cuore dell’ordinario. In questa scoperta, ci ritroviamo a viaggiare non solo nel mondo che ci circonda, ma anche dentro di noi, a esplorare i nostri desideri, le nostre paure, il nostro misterioso essere. In questo senso, l’arte di Daido Moriyama non è solo un dono alla fotografia, ma un dono all’umanità. Un dono che illumina, che stupisce, che tocca l’anima.

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Joel Meyerowitz, cielo dell’arte fotografica, delinea il mondo con uno sguardo che scruta oltre il velo delle apparenze, oltre i confini del visibile. Fa sua l’immensità del quotidiano e la rende sua testimonianza, rivestendola di sacralità. Non è un mero documentatore di istanti, ma un narratore del silenzio, un pittore di luce e ombra.

Attraverso il suo obiettivo, Meyerowitz conosce l’essenza nascosta del reale, la sua melodia taciuta, il suo ritmo nascosto. Ogni scatto, come una parola raccolta dal vento, narra storie di vita e di tempo, storie di luoghi e di persone, storie di solitudine e di comunità.

Il suo teatro è la strada, l’umano nel suo divenire, il mondo nella sua ininterrotta mutazione. È lì che Meyerowitz, testimone attento e curioso, cattura i giochi di luce, la danza delle forme, il vibrare dei colori. Ogni fotografia è una scoperta, una rivelazione di quel che è comune e ogni volta diverso.

Nelle sue immagini, l’ordinario è elevato alla dignità dell’eccezionale, la routine si veste di sorpresa, il banale si ricopre di meraviglia. Meyerowitz, guardiano delle ombre, tramuta il grigio del cemento in un caleidoscopio di emozioni, fa della luce un linguaggio, del silenzio un canto.

Le sue fotografie sono come pietre sul cammino, sono come fiumi che raccontano storie di viaggi e di incontri, di partenze e di ritorni. In ogni scatto, Meyerowitz ci parla di noi stessi, dei nostri giorni, delle nostre notti, del nostro continuo pellegrinare. Sono pagine di un diario senza fine, un diario del mondo, un diario dell’umanità.

Joel Meyerowitz è un artista che ascolta il mondo con gli occhi e ne restituisce echi e riflessi attraverso le sue opere. È un maestro della luce, un cercatore di bellezza, un traduttore dell’ineffabile. Attraverso la sua arte, ci ricorda che la bellezza è un dono che la vita ci riserva in ogni angolo, in ogni momento, se solo sappiamo cercarla.

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