Ecco dunque la fotografia “Pipes”, un’opera che invita lo sguardo a perdersi tra i meandri di colori tenui. I toni caldi del rosso, del giallo e dell’azzurro danzano insieme, si confondono, si separano e si riuniscono, come in un balletto perpetuo che cattura l’occhio e la mente.
Sullo sfondo, tre figure umane emergono dallo sfumato dei colori. Non sono chiare, non sono definite, ma restano lì, quasi sospese tra l’essere e il non essere. Sono ombre, echi di vite, ricordi che galleggiano sulla superficie dell’immagine.
La scena è dominata da tubi geometrici che attraversano l’immagine come una struttura portante. Sono rigidi, precisi, quasi senza vita, eppure risultano parte integrante dell’intera composizione.
Qui, l’ordinario diventa straordinario, il banale si trasforma in sublime. Ogni elemento diventa simbolico, ogni dettaglio si carica di significati nascosti. La fotografia non è solo un’immagine, ma un racconto, una storia da decifrare e interpretare.
I colori sfumati, le forme sfocate, le figure evanescenti evocano un senso di solitudine, di malinconia, ma anche di bellezza e di meraviglia. È come se la realtà fosse stata destrutturata e poi ricomposta in una forma nuova, diversa, piena di poesia e di mistero.
E alla fine, quello che resta non è solo un’immagine, ma un’emozione, una sensazione, un’atmosfera. La fotografia diventa una porta aperta sul mondo, un invito a guardare oltre la superficie delle cose, a cercare la bellezza nell’ordinario, a scoprire la poesia nella vita di tutti i giorni.
Il web scraping è una tecnica essenziale per l’elaborazione dei dati. Un’applicazione comune è il download di foto da piattaforme di social media come Instagram.
Per questa attività, utilizzeremo Python
, un linguaggio di programmazione popolare, e Instaloader
, una libreria che permette di scaricare foto, video, e altre informazioni da Instagram.
Vediamo come implementare questo in Python con il seguente script:
import instaloader
import logging
def download_instagram_profile(username):
try:
# Create a Logger
logger = logging.getLogger('instaloader')
logger.setLevel(logging.INFO)
# Set up logging to console
console = logging.StreamHandler()
console.setLevel(logging.INFO)
# Add the console handler to the logger
logger.addHandler(console)
# Create an instance of Instaloader and download the profile
L = instaloader.Instaloader()
L.download_profile(username, profile_pic_only=False)
print(f"Download of {username}'s photos completed.")
except Exception as e:
print(f"An error occurred: {e}")
def main():
username = input("Enter Instagram username: ")
download_instagram_profile(username)
if __name__ == "__main__":
main()
Analisi del Codice
import instaloader
: Importiamo la libreriainstaloader
per utilizzare le sue funzionalità.import logging
: Importiamo il modulologging
per registrare gli eventi durante l’esecuzione del programma.- Definiamo una funzione
download_instagram_profile(username)
che gestirà il processo di download. Prende un argomento:username
, il nome utente Instagram da cui vogliamo scaricare le foto. - Dentro
download_instagram_profile(username)
, utilizziamo un bloccotry-except
per gestire eventuali errori che potrebbero verificarsi durante l’esecuzione del programma. logger = logging.getLogger('instaloader')
: Creiamo un logger che registrerà eventi specifici di Instaloader.logger.setLevel(logging.INFO)
: Impostiamo il livello di logging suINFO
in modo che vengano registrate tutte le informazioni rilevanti.console = logging.StreamHandler()
: Creiamo un gestore di logging che invierà i log alla console.console.setLevel(logging.INFO)
: Impostiamo il livello del gestore di console suINFO
.logger.addHandler(console)
: Aggiungiamo il gestore di console al logger.L = instaloader.Instaloader()
: Creiamo un’istanza dell’oggettoInstaloader
.L.download_profile(username, profile_pic_only=False)
: Utilizziamo il metododownload_profile()
per scaricare il profilo Instagram specificato. Impostiamoprofile_pic_only=False
per scaricare tutte le foto dell’utente, non solo la foto del profilo.print(f"Download of {username}'s photos completed.")
: Stampiamo un messaggio quando il download è completo.except Exception as e
: Nel caso si verifichi un’eccezione durante l’esecuzione del codice all’interno del bloccotry
, la catturiamo e stampiamo un messaggio di errore.- Definiamo la funzione
main()
, che avvia il processo chiedendo all’utente di inserire un nome utente Instagram e quindi chiamadownload_instagram_profile(username)
. if __name__ == "__main__": main()
: Questo codice garantisce chemain()
venga chiamato solo quando lo script viene eseguito direttamente, e non quando è importato come modulo.
Con Python e la libreria Instaloader possiamo, con questo script, scaricare foto da un profilo Instagram. Abbiamo anche implementato la registrazione di logging per monitorare l’avanzamento del download. Ricordate: è importante rispettare i termini di servizio delle piattaforme di social media e assicurarsi di avere il permesso di scaricare qualsiasi contenuto.
Sospeso tra il crepuscolo della pellicola fotografica e l’aurora dell’era digitale, Kodachrome è una storia che si snoda sul ritmo di un viaggio, una strada segnata da neri pozzanghere di rancore e di bianche rotondità di riconciliazione. Il film è un fragile e luminoso inno alla fotografia, quel ponte gettato sullo scorrere del tempo che è riuscito a catturare, in attimi di luce impressi su carta, l’essenza stessa della nostra esistenza.
Nel mare immenso del cinema contemporaneo, “Kodachrome” è come un canto d’amore soffiato all’orecchio, un’ode al passato e al presente, alla famiglia e alla tradizione, in un’epoca che corre veloce, spesso troppo veloce, verso l’ignoto. Nel contrasto tra la pacata vecchiaia di Ben e la nervosa giovinezza di Matt, risiede il cuore del film: una lotta fra l’antico e il nuovo, un duello fra l’analogico e il digitale. E nel mezzo, Zoe, a fare da ago della bilancia, a cercare di riconciliare due mondi apparentemente inconciliabili.
Eppure, la pellicola non è solo una melodia di rimpianti e di malinconia. È anche un inno alla redenzione, al riscatto e alla riconciliazione. In questo viaggio, ciascuno dei personaggi si scopre e si riscopre, si perde e si ritrova, danza con le proprie ombre nel balletto della vita, cercando di capire chi è e chi vuole diventare.
“Kodachrome” è una pellicola che parla di vite, di persone, di errori e di perdoni. È la fotografia stessa di un’umanità complessa, spesso deludente, ma capace anche di sorprendere. A tratti sbiadita come un vecchio rullino Kodachrome, a tratti vivida come un istante catturato in uno scatto digitale, la pellicola di Raso è un ritratto delicato e intenso di un’umanità che si fa strada attraverso i cambiamenti e le sfide, attraverso le delusioni e le speranze, cercando di comprendere il significato e il valore della propria esistenza.
“Kodachrome” non è un film perfetto, lo sanno i protagonisti stessi, creature imperfette in cerca di redenzione. Ma proprio in questo risiede il suo fascino, la sua forza. Come una vecchia fotografia scolorita, conserva una bellezza nostalgica e commovente che non può essere riprodotta da nessuna tecnologia digitale. Come la vita stessa, “Kodachrome” è una pellicola imperfetta, ma proprio per questo, autentica e vera. Un viaggio umano, toccante, attraverso i colori, le ombre e le luci di un rullino di pellicola che non esiste più, ma che continua a vivere nelle nostre memorie e nei nostri cuori.
Il tomo di Sanguinetti, The Adventures of Guille and Belinda and The Enigmatic Meaning of Their Dreams, porta sulla pagina stampata le armonie delicate e selvagge del terreno argentino, e dei suoi giovanissimi protagonisti, Guille e Belinda. Se esiste una lingua che conosce il sapore dell’infanzia, è quella che Sanguinetti ha abilmente imbrigliato nei suoi ritratti. Non si tratta semplicemente di fotografie, ma di storie tessute di luce, ombra e desiderio.
L’autrice stessa, Alessandra Sanguinetti, nasce in America ma radica la sua formazione artistica nella natia Argentina. Il suo sguardo curioso e penetrante si nutre dei suoi viaggi, dell’argilla delle sue radici. Il frutto di questi semi, il suo lavoro, è stato poi riconosciuto e lodato in tutto il mondo.
Nelle foto di Sanguinetti c’è una melodia silente, un dialogo sospeso tra l’eccezionale e il quotidiano. Vi si ravvisano le tracce di un patriarcato ingrato, un grido soffocato di donne e ragazze in un mondo scolpito a immagine maschile. Eppure, la resistenza non è gridata, ma sussurrata, un’eco delicata e inarrestabile.
Le cugine Guille e Belinda, con la loro spontaneità e innocenza, diventano testimoni di un mondo in bilico tra la purezza dell’infanzia e l’incombente tempesta dell’adolescenza. I loro giochi, i loro sogni si fanno specchio di desideri inauditi, di paure mai pronunciate, in una danza delicata con la realtà circostante.
Le storie che l’obiettivo di Sanguinetti racconta non sono solo quelle di Guille e Belinda, ma sono il racconto universale del transitare dall’infanzia all’età adulta. Sono testimonianza della lotta per mantenere integra la propria individualità in un mondo che tende a uniformare, a omologare.
Questo libro, raro e prezioso come la verità che racconta, è un inno alla tenacia femminile, alla bellezza dell’infanzia e alla crudeltà dolce e amara dell’adolescenza. È un viaggio tra le righe del tempo, un ritratto della condizione umana impresso sullo sfondo di una Argentina tanto remota quanto vicina, tanto esotica quanto familiare.
Il messaggio finale di Sanguinetti, implicito ma potente, è un invito a guardare, a sentire e a comprendere, perchè la vita, in tutte le sue manifestazioni, merita di essere vista. E le storie di Guille e Belinda, nate sotto il cielo argentino, meritano di essere raccontate, perchè il loro racconto è un canto universale di crescita, scoperta e resistenza.
Un bianco di neve che si stende, immacolato come una tela in attesa di un tocco d’artista, ed eccolo lì, un cane nero. Lo sguardo fermo sul nulla, un profilo netto sul candido. Un contrasto cosí deciso, da risuonare come un tamburo nella solitudine del paesaggio.
Koudelka coglie quest’istante, una frazione di eternità, imprigionando in un frame un intero romanzo. Non un romanzo di parole, ma di sensazioni, di odori, di suoni muti che parlano al cuore più che all’orecchio. Una fotografia che è poesia, che è musica, che è vita.
Il cane nero diventa un asteroide che si stacca dal cielo della notte e precipita sulla neve, un segno, un simbolo. È un’incarnazione della libertà, un essere indomabile che si muove con la sicurezza di chi conosce il proprio posto nel mondo, anche se è un granello di sabbia in un deserto. È l’ombra che sfida la luce, la piccola nota stonata che dà senso alla melodia.
E allora lo guardi, quel cane, e capisci. Capisci che ogni impronta sulla neve è una dichiarazione d’amore alla vita, una sfida lanciata al destino. Capisci che la solitudine non è vuoto, ma pienezza. Capisci che l’esistenza non è un peso, ma un volo.
Questa non è semplicemente la foto di un cane sulla neve. È un racconto di resistenza e di coraggio. È un canto di solitudine e di presenza. È un inno alla vita, alla sua forza indomita, alla sua bellezza crudele. È un grido che risuona nel silenzio, un grido che dice: “Eccomi, sono qui, sono vivo, e non ho paura.”
L’onda del mare, con la sua voce perpetua, veniva a baciare la sabbia con un sospiro di schiuma e sale. Marina, la ragazza, portava negli occhi il colore del mare in tempesta, mentre la sua minigonna svolazzava come una bandiera di libertà.
Ma c’era un grido soffocato nel cuore del paese, un rumore sordo di pietre lanciate contro il vetro. Tutti parlavano di Marina, della sua gonna corta, e del destino che l’aveva raggiunta. Le frasi si diffondevano come il vento tra gli alberi, agitando le foglie con parole cariche di giudizio: “Doveva coprirsi di più”, “Si è cercata guai”.
In quella terra di sguardi severi, Marina era diventata una straniera. Non era solo la lotta con l’uomo che le aveva strappato la pace, ma con l’intera comunità, con il pregiudizio che la vestiva di colpa.
Un giorno, nel silenzio della casa della nonna, scoprì tra vecchi libri un racconto. Parole che parlavano di dignità e di rispetto, incise su carta ingiallita dal tempo: “Nessun vestito può essere un invito alla violenza. La dignità non ha una lunghezza di stoffa.”
In quei versi, Marina ritrovò la sua voce. Un fuoco s’accese in lei, un fuoco che poteva incendiare il mondo. Decise di lottare. Per sé, per tutte le donne che erano state costrette al silenzio, fatte sentire in colpa per le azioni di uomini che avevano dimenticato cosa significasse il rispetto.
Il cammino fu scosso da ostacoli, porte chiuse e sguardi di ghiaccio. Ma Marina non cedette. La sua determinazione divenne una melodia potente, un canto di resistenza che echeggiava nelle strade del paese. E mentre il tempo passava, alcuni occhi iniziarono a vedere oltre la minigonna, riconoscendo la forza di una donna che non si lasciava silenziare.
Piano piano, le voci delle donne del paese si unirono al canto di Marina. La minigonna non era più una condanna, ma il simbolo di una rivoluzione silenziosa che stava cambiando le cose.
Seduta sulla sabbia, guardava il mare e il sole che moriva all’orizzonte. Ma nel cuore non c’era tristezza, solo la consapevolezza di un nuovo giorno che sarebbe nato. Un giorno in cui ogni Marina, ogni donna, avrebbe potuto vivere senza doversi difendere o giustificare. Un giorno in cui sarebbe bastato essere donna, libera di vivere, di sognare e di amare. Solo il mare, solo il vento, e la promessa silenziosa di un nuovo giorno.
Nato a Tokyo nel 1940, Nobuyoshi Araki emerge come una figura di sfaccettata audacia, un faro nel mare tumultuoso della fotografia contemporanea giapponese. Come un vulcano in perenne eruzione, Araki ha prodotto oltre 500 libri fotografici, ognuno un frammento unico del mosaico della sua vita.
Da bambino, la passione per la fotografia si annida nel suo cuore, un seme piantato dalla macchina fotografica regalatagli dalla sua famiglia. Da quel momento, la sua lente inizia a danzare sulla tela di Tokyo, catturando la vita di strada e documentando la metamorfosi urbana e culturale del Giappone post-bellico.
Non si è mai lasciato imprigionare da un solo stile o tecnica fotografica. Come un pittore che sperimenta con pennelli e colori diversi, Araki ha danzato con la fotografia in bianco e nero e a colori, il formato medio e il Polaroid. Un incessante flusso creativo che ha modellato il suo stile inconfondibilmente eclettico.
E poi c’è “Sentimental Journey”, un faro nel mare tumultuoso della sua opera. Questa serie, che documenta la luna di miele con la moglie Yoko e la sua successiva malattia e morte, è un ritratto intimo e toccante dell’amore e della perdita. Le immagini si susseguono come i versi di una poesia, ciascuna raccontando un momento di dolcezza, di tenerezza, di struggimento. Le sue opere si inabissano nell’intimità più profonda, lì dove il personale si fonde con l’universale. Come un poeta che trae ispirazione dalla sua vita per scrivere versi che risuonano nell’anima dell’umanità, Araki ha esplorato temi come la sessualità, la morte e l’amore. Il suo lavoro è un diario personale aperto al mondo, e una lente attraverso la quale osservare la società.
Il quotidiano diventa la tela per le sue opere d’arte. I suoi scatti catturano l’effimero, il transitorio, il fragilmente bello. Fiori in decomposizione, cieli tempestosi, gatti randagi, scene di vita quotidiana… tutti acquisiscono un’aura di trascendenza attraverso la sua lente, rivelando una sensualità e una vulnerabilità che sono divenute la firma del suo stile.
Araki non ha mai avuto paura di esplorare l’oscurità, di affrontare il tabù. Ha esplorato il bondage e i suoi intrecci di potere e sottomissione. Anche se tali temi possono essere scioccanti o disturbanti, essi risuonano come un inno alla libertà artistica e una celebrazione della complessità dell’esperienza umana.
Ogni fotografia di Araki è un racconto in sé, un momento congelato nel tempo che cattura l’essenza della vita e la bellezza del fugace. Nel suo lavoro, la morte non è vista come una fine, ma come parte integrante della vita, un momento di transizione tanto affascinante quanto la nascita o l’amore.
Le sue opere sono un invito al vedere, al guardare oltre l’apparenza. Sottolineano la bellezza del quotidiano, celebrano l’umanità nella sua nuda autenticità, rivelano l’arte nella vita stessa. Offrono non solo immagini, ma frammenti di vita, di dolore, di gioia, di amore. Una celebrazione della vita in tutte le sue sfumature, un invito a vivere intensamente, ad accarezzare ogni attimo con la consapevolezza che, sebbene destinati a svanire, questi momenti rimarranno eterni nella memoria di chi li ha vissuti.
Il presente articolo fornisce una dettagliata panoramica della realizzazione di un gioco di Tic Tac Toe (o Tris) utilizzando SwiftUI, il potente framework UI di Apple. Esploreremo le funzionalità fondamentali di SwiftUI, come le proprietà @State, le View, e i Button, e come queste possano essere utilizzate per creare un’app di gioco semplice ma interattiva.
L’app del gioco che abbiamo progettato si compone principalmente di un tabellone di gioco 3×3, rappresentato da una matrice 2D (board
). Questa matrice è inizializzata con zeri, con l’idea che 1
rappresenta un giocatore (X) e 2
l’altro (O). L’app tiene traccia del giocatore corrente (currentPlayer
) e se il gioco è terminato (gameOver
) o meno.
Per rappresentare visivamente il tabellone di gioco, abbiamo utilizzato un anello esterno di VStack che contiene tre HStack. Ogni HStack contiene a sua volta tre Button, creando così un tabellone 3×3. Ogni Button rappresenta una cella del tabellone di gioco.
Per creare la struttura del nostro gioco, abbiamo utilizzato una combinazione di VStack (Vertical Stack) e HStack (Horizontal Stack). Questi sono tipi speciali di View in SwiftUI che permettono di impilare altre View in senso verticale o orizzontale. Guardiamo un frammento di codice:
VStack {
ForEach(0..<3) { i in
HStack {
ForEach(0..<3) { j in
...
}
}
}
}
In questo codice, creiamo un VStack che contiene tre HStack. Ogni HStack, a sua volta, contiene tre Button, creando così un layout 3×3.
Per risolvere la sfida della gestione delle mosse dei giocatori, abbiamo utilizzato la potente proprietà @State di SwiftUI. Questa proprietà ci permette di monitorare le modifiche al suo valore, aggiornando automaticamente la UI quando il valore cambia. Quando un giocatore tocca una cella del tabellone, la cella viene assegnata al currentPlayer
, e il currentPlayer
viene quindi alternato.
Ogni Button è collegato a un’azione che si attiva quando viene premuto. L’azione controlla se la cella del tabellone può essere occupata dal giocatore corrente:
Button(action: {
if self.board[i][j] == 0 && !self.gameOver {
self.board[i][j] = self.currentPlayer
self.winner = self.checkWin()
if self.winner != 0 {
self.gameOver = true
} else {
self.currentPlayer = 3 - self.currentPlayer
}
}
})
Nell’azione del Button, controlliamo se la cella corrente è vuota e se il gioco non è finito. Se entrambe le condizioni sono vere, la cella viene assegnata al currentPlayer
e viene verificato se c’è un vincitore. Se c’è un vincitore, gameOver
viene impostato su true
; altrimenti, currentPlayer
viene alternato.
Una caratteristica fondamentale del Tic Tac Toe è la determinazione del vincitore. Per farlo, abbiamo implementato la funzione checkWin()
, che verifica le righe, le colonne e le diagonali per un tris. Se trova un tris, restituisce il numero del giocatore che ha vinto. Se tutte le celle sono occupate senza un tris, la funzione dichiara un pareggio restituendo -1.
Dopo ogni mossa, la funzione checkWin()
viene chiamata per verificare se la partita è finita. Se un giocatore ha vinto o se la partita è finita in pareggio, viene visualizzato un messaggio appropriato. Inoltre, il conto delle vittorie di ciascun giocatore viene aggiornato di conseguenza.
La funzione checkWin()
è fondamentale per determinare l’esito del gioco. Verifica le righe, le colonne e le diagonali per vedere se c’è un tris. Se c’è un tris, restituisce il numero del giocatore che ha vinto. Se tutte le celle sono occupate e non c’è un tris, dichiara un pareggio restituendo -1:
func checkWin() -> Int {
// Verifica righe e colonne
for i in 0..<3 {
if board[i][0] == board[i][1] && board[i][1] == board[i][2] && board[i][0] != 0 {
return board[i][0]
}
if board[0][i] == board[1][i] && board[1][i] == board[2][i] && board[0][i] != 0 {
return board[0][i]
}
}
// Verifica diagonali
if board[0][0] == board[1][1] && board[1][1] == board[2][2] && board[0][0] != 0 {
return board[0][0]
}
if board[2][0] == board[1][1] && board[1][1] == board[0][2] && board[2][0] != 0 {
return board[2][0]
}
// Verifica pareggio
for i in 0..<3 {
for j in 0..<3 {
if board[i][j] == 0 {
return 0
}
}
}
return -1 // Pareggio
}
Il codice, ancora, per ripristinare il gioco, resetGame()
, viene chiamato alla fine di ogni partita, per riportare tutte le variabili allo stato iniziale e preparare il tabellone per una nuova partita.
Un’altra sfida da affrontare era rendere ogni cella del gioco interamente sensibile al tocco. Inizialmente, solo la parte centrale della cella (il punto in cui appare la X o la O) rispondeva al tocco. Per risolvere questo problema, abbiamo utilizzato .background(Color.white)
per la View Text quando è vuota, fornendo così un’area sensibile al tocco in tutta la cella.
Infine, per garantire un’esperienza di gioco fluida, abbiamo aggiunto un Button per ripristinare la partita una volta terminata. Questo resetta il tabellone e assegna il turno al giocatore che inizia in maniera casuale, preparando tutto per una nuova partita.
In sintesi, l’utilizzo di SwiftUI ha reso relativamente semplice la realizzazione di un gioco di Tic Tac Toe funzionante. La sua reattività integrata e l’uso di proprietà @State, insieme alla struttura componibile delle view, rendono SwiftUI un ottimo strumento per creare interfacce utente dinamiche e interattive su piattaforme Apple.
“Hong Kong Yesterday”, la pregevole trilogia del visionario Fan Ho, è una sinfonia visiva, un innamoramento lento e profondo con un tempo e un luogo sussurrati. Le sue fotografie sono come pagine di un diario segreto, svelando l’anima pulsante di Hong Kong negli anni ’50 e ’60.
Questo è un tempo di transizione, un’epoca che gioca tra la consuetudine e il cambiamento, dove l’Occidente s’infiltra silenzioso nella tessitura dell’Oriente. Hong Kong si apre, un fiore delicato, tra le mani dell’occidentalizzazione e Ho Fan, un pittore di luce e ombre, ne cattura l’essenza in bianco e nero.
Gli scatti di Fan Ho s’aggirano tra baraccopoli e incroci, vicoli stretti e ampi corsi d’acqua. Raccontano la lentezza di una barca che danza sul fiume, l’abbraccio fra madre e figlio in un vicolo buio, un incrocio affollato che, nel suo caos, ritrae una danza urbana. Ogni figura catturata nella sua lente, dall’uomo d’affari al lavoratore portuale, dai bambini che giocano nella polvere ai vecchi che riposano, racconta un pezzo di quel mondo, quel tempo. È un romanticismo che nasce dalla vita vera, cruda e incolore, ma reso caldo e vibrante attraverso l’obiettivo dell’artista.
Gli scatti contenuti nel libro, dal sapore intenso di un caffè forte, semplificano il mondo in una sinfonia di bianco e nero, come se cercassero la verità nascosta dietro l’apparenza. C’è un senso di surrealismo, una vibrazione astratta nelle sue immagini che ci costringe a fermarci, a guardare più a lungo. C’è una distanza, una specie di rispetto reverenziale che mantiene con i suoi soggetti. Non troppo vicino, per non alterare la loro autenticità. Non troppo lontano, per non perdere la loro umanità.
“Hong Kong Yesterday” è un ricordo prezioso, un fermo immagine di una Hong Kong ormai scomparsa. È un ritratto attento e affettuoso del suo cambiamento, della sua crescita e del suo incontro con l’Occidente. È la testimonianza visiva di una cultura in movimento, una città in trasformazione, catturata dal cuore appassionato di un grande fotografo.
E, alla fine, le fotografie di Fan Ho non ci mostrano solo Hong Kong, ci mostrano anche l’uomo dietro l’obiettivo. Rivelano il suo amore per la città, la sua comprensione dell’umano, la sua sensibilità all’ordinario. Sono immagini di un passato quasi dimenticato, ma al tempo stesso, sono il suo dono al futuro, un promemoria di come eravamo, di come potremmo essere. Un toccante omaggio all’evanescenza del tempo, alla bellezza nascosta della vita quotidiana, al romanticismo implicito della realtà.