Siamo orfani di un mondo che non vediamo più, eppure ci abita. I fantasmi, quei richiami dall’invisibile, sono diventati nell’immaginario collettivo mere proiezioni, attrazioni da luna park, palesi solo in una stanza oscura del cinema. Ma c’è qualcosa che ancora ci lega a loro, un filo invisibile che unisce l’antico all’odierno, l’anima alla materia. La commedia “Questi fantasmi” di Eduardo De Filippo non è solamente una rappresentazione, ma un monito, un invito a non scordare ciò che sta al di là della vita tangibile.
Le culture del mondo, attraverso favole e leggende, ci parlano di un altro mondo che esiste, abita, e si manifesta. La tradizione Yiddish con il suo “dibbùk”, i racconti locali delle nostre città, sono eco lontane di un sapere che abbiamo seppellito. Ma se ci fermiamo un momento, se chiudiamo gli occhi e ascoltiamo il silenzio, potremo sentire quel respiro profondo che ci abita. Non è nostalgia di un tempo andato, né superstizione puerile. È una comprensione profonda dell’essere, dell’aldilà che non è estraneo, ma parte integrante di noi.
I fantasmi non sono il riflesso di una mente contorta, ma il segno di una sensibilità aperta, capace di ascoltare le voci lontane, le voci interne. Sono cresciuto con queste voci, le ho ascoltate, e oggi so che hanno plasmato il mio essere.
Nell’epoca moderna, dominata dalla pretesa di attenersi al tangibile, abbiamo perso la capacità di ascoltare l’invisibile. Ma non è una perdita senza rimedio. Siamo ancora capaci di percepire, di sentire, di intuire.
Mentre scrivo queste parole, il richiamo di un asino mi giunge da lontano, non come un saluto, ma come una conferma. Non è un cenno nostalgico, ma un monito vivente. I fantasmi sono con noi, nei nostri sogni, nei nostri pensieri, nelle nostre paure e speranze. Sono parte di noi. L’arte di ascoltarli è una saggezza antica, un dono che ci è stato fatto e che possiamo ancora coltivare. Non è un gioco di specchi, ma una profonda conoscenza dell’anima. Non è un’ombra vuota, ma una presenza piena. Gli occhi non vedono i fantasmi, ma l’anima li riconosce. E in questo riconoscimento, ritroviamo noi stessi, più profondi, più umani, più veri.
Nei dettagli sommessi, nei piccoli frammenti oscurati dalla vista, risiede la verità che ci sfugge. Non è nella vastità, ma nell’occhio che sa indugiare su ciò che è celato, che troviamo la percezione vera. Quando l’orizzonte si limita, il mondo si espande, e la mano che sa toccare il particolare afferra l’essenza…
In un giardino ben curato e lussureggiante della politica, i ministri, come fiori vanitosi, si piegano e si girano verso il sole della propria ambizione. La loro luce, sostenuta da brezze di parole e promesse, tocca la superficie ma non penetra nelle profondità dove si trovano le radici dei problemi.
La ministra al Turismo, Daniela Santanchè, dalla sabbia dorata della Versilia, propone un’immagine, un sogno. Le vacanze sono un diritto, sussurra, come un’onda che si infrange contro la scogliera della realtà. Un diritto, sì, ma a quale costo? La sua voce riecheggia tra gli echi del lusso, in dissonanza con le esigenze di chi anela a una vita più dignitosa.
La discordia regna sovrana in questo governo, ognuno canta la propria melodia, sorda agli altri. “L’agricoltura salverà l’economia italiana”, “l’industria del turismo deve essere la prima della nazione”, “solo le infrastrutture potranno fare ripartire il Paese”, dichiarano con audacia. Piazzisti in contraddizione tra loro, ognuno spinge la propria merce senza pensare a un mercato comune.
I diritti si moltiplicano come stelle in una notte serena: diritti illusori, lontani come costellazioni, mentre i bisogni concreti, come il salario minimo e la sussistenza dei poveri, rimangono nell’ombra. C’è un’arte nel dire senza fare, un’eleganza nel promettere senza mantenere. È l’arte dell’essere un influencer nel proprio settore, il mestiere di soddisfare il cliente momentaneo senza preoccuparsi del domani. Ma il domani arriverà, e i fiori che oggi prosperano potrebbero domani appassire.
In questo giardino della politica, il tempo scorre come l’acqua di un fiume, e ciò che sembra saldo e certo oggi potrebbe essere lavato via domani. Gli italiani attendono una mano ferma, una visione chiara, un piano unificato. Attendono qualcuno che coltivi veramente il giardino, invece di limitarsi a cogliere i fiori più belli.
In questo contesto, il messaggio di buon Ferragosto suona come un canto dolce ma vuoto, una melodia che svanisce nell’aria calda dell’estate, lasciando dietro di sé solo un’eco lontana e il bisogno inespresso di qualcosa di più profondo, di più vero.
La scelta è un passo verso la maturità, ma solo in giovinezza è vista come sviluppo positivo. Con l’età, le decisioni diventano segni di un invecchiamento che non concede scuse, svelando la crudeltà del tempo e l’ineluttabilità del destino.
Gli insiemi di Julia sono un famoso esempio di frattali, che formano una classe di oggetti matematici complessi e intricati. Sono definiti come l’insieme dei punti nel piano complesso che rimangono limitati sotto l’iterazione di una funzione quadratica complessa del tipo ( \(f(z) = z^2 + c\) ), dove ( c ) è un parametro complesso. Variazioni nel valore di \(c\) producono frattali con strutture estremamente diverse e spesso sorprendenti.
import numpy as np
import matplotlib.pyplot as plt
# Impostazioni
width, height = 800, 800
max_iter = 256
xmin, xmax = -1.5, 1.5
ymin, ymax = -1.5, 1.5
# Lista di numeri complessi c
c_values = [
complex(-0.7, 0.27015), complex(0.355, 0.355), complex(-0.4, 0.6),
complex(0.37, 0.1), complex(-0.70176, -0.3842), complex(-0.835, -0.2321),
complex(-0.8, 0.156), complex(-0.7269, 0.1889), complex(0.3, 0.5)
]
# Creare una griglia di valori complessi
x, y = np.linspace(xmin, xmax, width), np.linspace(ymin, ymax, height)
z_values = np.array(np.meshgrid(x, y)).reshape(2, -1).T
z_values = z_values[:, 0] + 1j * z_values[:, 1]
# Inizio del grafico 3x3
fig, axes = plt.subplots(3, 3, figsize=(12, 12))
for i, c in enumerate(c_values):
row = i // 3
col = i % 3
ax = axes[row, col]
# Calcolo del frattale Julia
z = z_values.copy()
image = np.zeros(z.shape, dtype=float)
mask = np.ones(z.shape, dtype=bool)
for k in range(max_iter):
z[mask] = z[mask] * z[mask] + c
mask = np.logical_and(mask, np.abs(z) < 8)
image += mask.astype(float)
image = image.reshape((width, height))
# Visualizzazione del frattale Julia
ax.imshow(image, extent=(xmin, xmax, ymin, ymax), cmap="hot")
ax.set_title(f"c = {c}")
plt.show()
Il codice fornito rappresenta una visualizzazione grafica di nove diversi insiemi di Julia utilizzando la libreria Matplotlib
in Python
. Ecco una spiegazione dettagliata delle componenti principali:
- Impostazione della Griglia: La griglia di valori complessi è creata utilizzando
np.linspace
per generare vettori di valori reali e immaginari, e questi sono combinati in un array di numeri complessi. La griglia rappresenta i punti nel piano complesso che verranno iterati. - Iterazione e Calcolo del Frattale: Per ogni valore di ( c ) nell’elenco di numeri complessi
c_values
, l’algoritmo itera la funzione (\( f(z) = z^2 + c\) ) su ogni punto della griglia. Utilizza una maschera logica (mask
) per tracciare quali punti rimangono limitati attraverso le iterazioni. L’immagine finale viene costruita sommando i valori della maschera attraverso le iterazioni, dando un’indicazione della velocità con cui i punti divergono. - Visualizzazione: La griglia di output è ridimensionata in una forma che corrisponde alla risoluzione dell’immagine e viene visualizzata utilizzando
imshow
. La mappa dei colori “hot” è scelta per rappresentare i valori, con i colori che indicano la velocità di divergenza dei punti. - Strutturazione del Grafico: Il codice utilizza una griglia di grafici 3×3, utilizzando
plt.subplots
, per mostrare i nove diversi frattali associati ai valori inc_values
. Ogni grafico è etichettato con il valore corrispondente di ( c ).
Il codice, in estrema sintesi, sfrutta le capacità di calcolo vettoriale di NumPy
e le funzionalità di visualizzazione di Matplotlib
per esplorare e visualizzare una famiglia di frattali complessa e affascinante. Le scelte di progettazione mirano a fornire un’analisi efficiente e una rappresentazione chiara e accattivante degli insiemi di Julia, illustrando come piccole variazioni nel parametro ( c ) possano produrre strutture notevolmente diverse.
Sotto l’ombrellone, tra il cinguettio dei gabbiani e il mormorio delle onde, si riscopre un piacere che appartiene all’anima: la lettura. L’atto di leggere è una seduzione silenziosa, una danza lenta tra parole che, se ben guidate, possono riempire il cuore come poche altre cose al mondo.
Le pagine di un libro sono finestre su mondi lontani, mondi in cui possiamo perderci e ritrovarci, tutto nel corso di una breve ora sotto il sole. Leggiamo non solo per scappare dalla quotidianità, ma per incontrare noi stessi, per compiere un viaggio intimo che sfiora il profondo del nostro essere.
Nel bel mezzo della vita frenetica, leggere diventa un bisogno. Una necessità che cresce e si rafforza, tanto da diventare un nutrimento indispensabile per la mente e per lo spirito. È un’arte che si affina e si alimenta con il tempo, come il vino invecchiato in una botte di quercia. La lettura è un colloquio privato con l’autore, un dialogo sussurrato che si snoda tra le righe. Ogni libro è un invito a pensare, a riflettere, a vivere. Si legge non per raggiungere la fine, ma per assaporare il viaggio, per concedersi il piacere di scoprire, un pensiero alla volta, il formarsi di un discorso lungo le pagine.
Sotto l’ombrellone, il piacere della lettura assume una forma speciale. È una pausa, un respiro tra una nuotata e l’altra, un momento in cui il mondo si allontana e ci ritroviamo soli con le parole. Non è un mero passatempo, ma un rituale sacro, un richiamo irresistibile che ci chiama a tuffarci in un mare di lettere, a nuotare tra pensieri e a emergere, infine, arricchiti e rinnovati. La lettura è, insomma, una passione che non conosce stagioni, ma che in estate, sotto l’ombrellone, trova una dimensione unica e inebriante. È un dono che ci facciamo, una meraviglia che ci accompagna lungo il cammino della vita, un amico silenzioso che sa ascoltare e che, nel suo modo discreto e profondo, ci insegna a essere un po’ più saggi, un po’ più umani.
Nel cuore tra Umbria e Toscana, sospesa tra realtà e finzione, sorge l’immagine di Cospaia, la repubblica che sfidò il tempo. Fabio Magara, nel suo “Protocollo K”, ci guida in questo luogo dove la storia si dissolve nella leggenda, e il presente interroga il passato con occhi pieni di stupore. La prosa di Magara è un fiume placido che scorre tra le pagine, ritraendo un microstato incorrotto, un’anima pura in un mondo sospeso. Le immagini, i documenti e le parole si intrecciano in un abbraccio etereo, e il lettore viene catturato in questo vortice di libertà, un luogo dove ogni legge umana sembra perdere il suo peso, lasciando spazio alla suprema “Perpetua et Firma Libertas”.
L’agente “Mosca” dell’O.V.R.A., l’inviato in questa terra senza tempo, è la nostra guida, ma anche il nostro dubbio. Con occhi inquisitori, cerca di svelare il mistero di Cospaia, ma si ritrova avvolto dalla sua magia, quasi un pellegrino in una terra sacra.
“Protocollo K” è un libro che parla sottovoce, un sussurro che risuona nell’anima del lettore, un inno alla libertà, un canto di speranza. Magara scrive con la delicatezza di un poeta, con lo sguardo di un artista, con la grazia di un musicista che compone una melodia eterna. È un’opera che ci chiede di riflettere su cosa significhi essere umani, su cosa significhi sognare. Nelle pagine di questo libro, la dittatura fascista e l’anarchia di Cospaia si scontrano, ma non in una battaglia cruenta, piuttosto in un dialogo silenzioso, una riflessione profonda sulla natura della libertà e dell’umanità.
Con “Protocollo K”, Magara ha tessuto un arazzo prezioso, un pezzo di storia che non è solo un racconto ma una meditazione, un sogno da custodire nel cuore. È un libro che non si legge solo con gli occhi, ma con l’anima, un invito a perdere e ritrovarsi, a interrogare e ascoltare, a vedere oltre l’orizzonte del conosciuto, nel profondo abisso della libertà.
Agosto è un alzarsi di solitudini fisse, una distesa di giorni sospesi nell’inerzia dell’essere. Sorge il momento dei frammenti del passato, ritagli di un’esistenza che ritornano a galla come pesci impazziti. Volti, suoni, istanti, ciascuno a bussare alla porta della mente, gridando: “Anch’io ho fatto parte di te”. Alcuni hanno disegnato sorrisi, altri hanno inciso cicatrici ardenti. Ma ogni singolo frammento parla di una parte di te, di un sentiero percorso, di una scelta che hai dovuto fare. Sussurrano ciò che eri, ciò che avresti potuto essere, e nel loro risveglio riportano in vita la mano che ha modellato l’uomo che sei ora. Agosto è un mare di memorie risvegliate, un ritorno del tempo per raccontarsi. È a te l’ascolto, a te il ritrovare il filo che connette le tue molte vite.
La morte non è un naufragio, ma un attracco, un ritorno a terra ferma dove tutto ha inizio. Così ha accolto il suo destino Michela Murgia, scrittrice dai fondali profondi e donna che ha saputo governare la tempesta del cancro con una mano salda.
In un’intervista rilasciata su Repubblica, Fabio Calabrò, il dottore che l’ha accompagnata in questo viaggio, racconta di un patto. Non un contratto clinico, ma un’intesa d’anima, un cammino condiviso che non guarda alla malattia come un nemico, ma come un segmento di strada da percorrere con dignità e rispetto.
I reni, questi organi silenziosi, hanno svelato un cancro già avanzato. Ma Michela non ha visto in Calabrò un giudice, ma un compagno di viaggio, uno che l’ha lasciata proseguire come desiderava, con la penna nella mano e il cuore svelato.
Ha camminato per le vie di Trastevere, dettato pagine, trasformato il cancro non in una lotta, ma in un compito, un impegno che era la ragione della sua esistenza. Il suo libro sulla gestazione per altri è stato il faro che l’ha guidata verso il porto. Il dolore, questo marinaio scomodo, non l’ha piegata. Ha chiesto di vivere come sempre aveva fatto, senza cedere un’oncia di libertà o dignità. E poi, quella mattina del 10 agosto, con un sussurro come un vento leggero, ha annunciato al suo medico: “Ora posso andare.” Un addio sobrio, una gratitudine per una libertà donata e mantenuta, una rivelazione di chi ha saputo navigare fino all’ultimo con la testa alta.
La morte non è sconfitta, ma arrivo. La malattia non è condanna, ma parte di un cammino. La libertà di cura è un’arte umana, un riconoscimento di ogni vita.
Michela ha accolto il cancro come un percorso e non come una pena. Con la penna di una scrittrice e l’anima di una donna saggia, ha mutato il suo dolore in narrazione, la sua malattia in un insegnamento per tutti, la sua morte in un inno alla libertà. È andata, ma la sua voce resta nelle parole tracciate, nel sorriso offerto, nell’accordo onorato, nella telefonata dell’ultimo giorno, affermando ancora una volta la sua libertà: ora ho finito, posso andare. Con la grazia e la sensibilità, la sua storia è un canto, una melodia che continua a risuonare.
The article outlines the theory and implementation of Julia sets, exploring the generation of these fractals through a computational approach. Using Python and NumPy, the text illustrates the iterative dynamics of quadratic functions in the complex plane, highlighting the design choices and numerical techniques adopted to visualize these intricate mathematical objects.
Gli insiemi di Julia rappresentano una famiglia notevole di frattali complessi, che emergono dalla dinamica iterativa di funzioni quadratiche del tipo ( \(f(z) = z^2 + c\) ), codificata dalla funzione f(z, c)
:
def f(z, c):
return z**2 + c
dove ( z ) è una variabile complessa e ( c ) è un parametro complesso costante. Questi insiemi hanno trovato applicazioni in vari campi, come la grafica al computer, la dinamica dei fluidi e i sistemi dinamici non lineari. La visualizzazione degli insiemi di Julia richiede un’analisi accurata delle orbite dei punti nel piano complesso sotto l’azione iterativa della funzione ( f ), come illustrato nel seguente frammento di codice:
for i in range(max_iter):
Z_new = f(Z[mask], c)
not_inf_mask = np.abs(Z_new) < 1000 # Set a limit to avoid overflow
mask[mask] = not_inf_mask
img[mask] += 1
Z[mask] = Z_new[not_inf_mask]
Il parametro max_iter
controlla il numero di iterazioni, mentre le variabili width
e height
determinano la risoluzione dell’immagine risultante, definita all’inizio del codice:
width, height = 800, 800
La scelta di utilizzare un limite di 1000 sulla norma dei valori iterati impedisce l’overflow numerico e la funzione np.log
è impiegata per migliorare la visibilità dei dettagli fini:
img = np.log(img + 1)
L’intero codice è progettato per essere efficiente e scalabile, sfruttando le operazioni vettorializzate di NumPy e creando un insieme di immagini corrispondenti a diversi valori del parametro ( c ), come mostrato nel ciclo di creazione delle immagini:
for i in range(4):
for j in range(4):
c = (i * 4 + j) * 0.1 + 0.5j
img = julia_set(width, height, x_min, x_max, y_min, y_max, c, max_iter)
axes[i, j].imshow(img, extent=(x_min, x_max, y_min, y_max), cmap='hot')
Questo approccio, che mescola la matematica complessa con l’analisi numerica e la visualizzazione grafica, incarna un esempio paradigmatico dell’intersezione tra matematica pura e applicata, offrendo una potente metodologia per esplorare e comprendere la complessa struttura degli insiemi di Julia, che sono stati oggetto di profondo studio nel campo della dinamica complessa.