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Oliviero Toscani: ordine e caos nei contorni del mondo

Oliviero Toscani era caos e ordine. Il suo bastone, grosso e ingombrante, si muoveva con grazia tra oggetti minuti, fotografie, gabbie, frammenti di storie. Era ordine attorno e disordine dentro, precisione nei contorni e tempesta nei pensieri. Rideva, parlava, litigava come un vulcano, ma i suoi spazi – la casa a Casale Marittimo, le linee nette della tenuta, i due parallelepipedi bianchi per la scuola che voleva – raccontavano un bisogno insopprimibile di nitidezza. Non era estetica, era visione: un modo di mettere a fuoco il mondo, di scegliere ciò che conta, di togliere il superfluo per lasciare spazio all’essenziale.
La sua vita era una lotta, un dialogo continuo tra realtà e rappresentazione. Il padre Fedele, maestro della cronaca fotografica, gli aveva dato una lezione che non avrebbe mai dimenticato: ciò che accade va visto, raccontato, ma anche pensato. Così Oliviero, dopo Zurigo e la Kunstgewerbeschule, dopo la disciplina delle forme della Bauhaus, portò questa lezione nell’arte applicata che chiamava pubblicità. Ma per lui non era mai solo commercio. Era politica, cronaca, conflitto. Bianco e nero. Cuori e corpi. Preti e suore che si baciano. Mani ammanettate. Cuori umani. Il mondo si poteva raccontare così, dentro il linguaggio della pubblicità, con la stessa forza della cronaca, con la stessa urgenza dell’arte.
E se i colori di Benetton – l’arcobaleno dei desideri che si scontrava con il buio delle ingiustizie – sono diventati un simbolo, lo devono a lui. Ha preso il mercato e ci ha infilato la verità. Ha usato i muri delle città per ricordare a tutti che il mondo era storto e che qualcosa, forse, si poteva fare. Lo odiavano per questo, lo accusavano di sporcare l’arte con il denaro, ma lui sapeva che il confine era già crollato. L’arte, il mercato, il consumo, tutto era fuso, e ignorarlo era ipocrisia.
Quando il tempo ha cominciato a scivolargli via, ha provato a lasciarsi qualcosa dietro. Fabrica, la scuola di Villorba, i progetti per Casale Marittimo. Ma il mondo non era pronto per la sua continuità. Toscani era unico, e forse lo sapeva. I suoi contorni non potevano essere replicati. Le sue idee non potevano diventare metodo. Il suo sguardo non poteva essere moltiplicato. Eppure ha lasciato segni, nitidi e indelebili, nel modo in cui guardiamo le cose, nei confini che non vediamo più.
Oliviero Toscani era ordine e caos, visione e conflitto. Bianco e nero. Ma nel suo maneggio rideva dei suoi cavalli appaloosa, pezzati, confusi, mischiati. Come se anche nel disordine ci fosse un ordine che vale la pena di cercare.

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