≡ Menu

Appalachia Svelata: Uno Sguardo Senza Concessioni…

L’Appalachia di Kranitz si leva dal territorio come una montagna dalle molteplici facce, una regione che non chiede pietà né ammirazione, ma semplicemente un’osservazione onesta. Stacy Kranitz non s’inganna nel cercare di adornarla con fioriture inutili o abbruttirla con inesorabili cliché. Scruta l’Appalachia con occhi severi ma non giudicanti, con uno sguardo che non chiede né concede. È un lavoro fotografico, ma sopra ogni cosa, è un discorso umano, un dialogo con una terra e la sua gente, spesso calpestata e mal rappresentata. Kranitz non gioca a fare la redentrice, non arriva con promesse, ma con domande, e questo è il suo pregio.


Le sue fotografie non sono risposte, ma interrogativi. Non sono giudizi, ma considerazioni. La sua lente è un occhio che vede ma non pretende di sapere, uno strumento che ritrae ma non definisce. E in questo sta la forza del suo lavoro, nell’essere l’indagine senza conclusione, l’osservazione senza prescrizione.
Kranitz fa a meno di trincee e barriere, si colloca in un terreno di mezzo, tra il giusto e lo sbagliato, tra il bello e il brutto. E in quel luogo, vede l’Appalachia per quello che è, non per quello che dovrebbe o potrebbe essere. È una testimonianza cruda, ma non crudele.


Il suo stile, asciutto come l’aria di montagna, acuto come il filo di un rasoio, non concede spazio al superfluo. Non c’è pietà nel suo sguardo, ma c’è comprensione. Non c’è indulgenza, ma c’è rispetto. E in questo sta la sua maestria, nell’essere spietata nella verità ma compassionevole nell’umanità.
Stacy Kranitz non ha fotografato l’Appalachia; ha dialogato con essa. Ha posto domande senza aspettarsi risposte, ha guardato senza voler vedere. Il suo testo è un sentiero tra le montagne, un percorso che non conduce a una meta, ma offre panorami inattesi. È un’indagine che non si accontenta e non si placa, che richiede e sollecita.
Così, l’Appalachia di Kranitz è una regione viva, pulsante, ferita ma fiera, bella nella sua complessità, vera nella sua dualità. Un luogo che non si lascia catturare, ma che, grazie a Kranitz, si lascia finalmente guardare.

{ 0 comments… add one }

Rispondi