In un caldo giorno d’Agosto, l’aria è impregnata di un calore soffocante e afoso, una calura che sembra stringere la terra in una morsa silenziosa. Le voci del giorno sussurrano languide, stanche dalla lotta con l’implacabile abbraccio del sole. Ma l’orizzonte comincia a fremere, a turbarsi con un palpito impercettibile. Le nuvole, prima lontane e innocue, avanzano come un esercito sordo, e l’ombra di un cambiamento si stende lentamente sulla terra assetata.
Il vento, prima assente, sorge con un sospiro gelido, come se trae respiro dalle profondità del mare. Le foglie delle alberature si agitano, scuotendosi dal torpore estivo, e l’aria si riempie del profumo di un imminente ristoro.
E poi, in un istante sospeso, una magia silenziosa: il primo ticchettio della pioggia sull’ombrellone, timido come un bacio rubato. Il sole, fino a quel momento sovrano incontrastato, è oscurato da un sipario di nuvole grigie, un velo che copre l’ardore della sua fiamma. Le gocce diventano una melodia, una canzone d’amore tra cielo e terra. La pioggia lava via l’arsura, accarezza la pelle dei presenti, bagna la terra arida. È un canto armonico, un ritorno alla vita, una danza fra gli elementi.
In questa pioggia d’Agosto, tutto parla, tutto canta, e il mondo sembra ritrovare un ordine più profondo, una bellezza nascosta. È un attimo fuori dal tempo, un sussurro della natura che racchiude in sé l’eternità.
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