In un cortile a Lipsia, un tavolo da ping pong giace sotto lo sguardo di una finestra all’ottavo piano. Sotto l’obiettivo del fotografo Hayahisa Tomiyasu, il tavolo si fa teatro di umane vicende, palcoscenico della vita.
C’è una volpe in questo racconto, una creatura sfuggente che ha attraversato il campo una sola volta, e poi non più. Ha osservato il tavolo, e poi se n’è andata, lasciando una scia di domande. Il fotografo l’ha attesa per quattro anni, ma in quella lunga attesa, ha visto altro. Ha visto noi.
Noi, che facciamo del tavolo ciò che ci pare, secondo le stagioni e le necessità. Un letto per riposare, un piedistallo per esibirsi, una tavola per condividere. Noi, che passiamo e lasciamo tracce, come la volpe, e ci perdiamo nell’ordinario.
C’è un sussurro in queste fotografie, un invito a vedere ciò che è nascosto nella semplicità. Un richiamo silenzioso a cercare la bellezza là dove non ci aspettiamo di trovarla. Il tavolo, immobile e silente, ci parla di noi, ci racconta chi siamo.
Tomiyasu non ha mai rivisto la volpe, ma ha scoperto una verità più grande. Ha scoperto l’umanità in un oggetto inanimato, ha trovato la poesia in un angolo di cortile, ha visto la vita scorrere e cambiare, e ci ha mostrato come farlo.
È una storia di attese e scoperte, di sguardi e silenzi, di un tavolo che non è solo un tavolo, e di una volpe che non è mai tornata, ma che vive ancora, nel cuore di chi guarda e vede oltre. È un viaggio dentro noi stessi, una meditazione sulla vita e sulla nostra capacità di trovare il sacro nell’ordinario, il sublime nel quotidiano.
E tutto inizia e finisce lì, in un cortile a Lipsia, con un tavolo da ping pong, un fotografo, e una volpe che forse, in fondo, non se n’è mai andata.