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Anne-Marie parlava poco ma vedeva tanto…

La macchina fotografica era il suo scudo. Dietro l’obiettivo, Anne-Marie von Wolff si sentiva al sicuro dal mondo che la rifiutava. L’epilessia e la tubercolosi l’avevano marchiata come diversa, ma il suo occhio attento catturava la vita di ogni giorno a Lucerna negli anni ’30 e ’50.
Anne-Marie parlava poco ma vedeva tanto. La sua sensibilità emerge dalle istantanee di scene familiari, ritratti intensi, scorci urbani. Composizioni forti, in bianco e nero, che raccontano una parente sconosciuta.


Le sue fotografie sono state ritrovate per caso in una scatola di banane, dopo essere state dimenticate per decenni. Ora ricompongono il puzzle di un’esistenza appartata, alla ricerca di bellezza dietro la macchina fotografica. La nipote Mimi von Moos ha raccolto queste memorie visive, pagine di album familiare, frammenti di una Lucerna che non c’è più.
Anne-Marie von Wolff nacque nel 1893 in una famiglia alto borghese di Lucerna. Fin da bambina fu marchiata come diversa. Le crisi epilettiche e la tubercolosi la resero un’emarginata. Forse proprio la solitudine la spinse a osservare con occhio attento il mondo intorno a sé.
Le istantanee di una gita sul lago, i ritratti dei cugini, gli scorci di vita quotidiana, rivelano il suo talento dietro l’obiettivo. Anne-Marie coglieva l’attimo con grazia, immortalando scene di tenerezza familiare. Seppe ritrarre il fascino di una cugina con sguardo intenso e sigaretta in mano. Colse l’eleganza della buona società lucernese, ma anche la poesia di un vicolo acciottolato.

La macchina fotografica le diede un ruolo, un posto speciale nella cerchia familiare che prima la rifiutava. Le permise di esprimersi senza parlare, di aprirsi al mondo da dietro il suo scudo.
Soltanto in età avanzata i suoi scatti verranno riscoperti. Sarà la pronipote Mimi a raccogliere circa 1500 fotografie in bianco e nero scattate da Anne-Marie tra gli anni ’30 e ’50. Un ritrovamento che getta nuova luce su una donna quasi sconosciuta.
Mimi von Moos utilizzerà queste istantanee d’epoca per comporre nei suoi saggi letterari il ritratto della lontana parente. Ne trarrà un libro, “Die Verwandte“, che esplora la fotografia attraverso gli scatti ritrovati quasi per caso in soffitta.
Gli scritti della pronipote indagano il talento nascosto di Anne-Marie, la sua sensibilità dietro l’obiettivo. Interviste ai familiari e un saggio della filosofa Tine Melzer completano l’opera, rivelando sfumature inedite di una donna schiva e riservata.
Anne-Marie von Wolff rimase sempre ai margini della scena, come se la sua malattia l’avesse confinata dietro un vetro. Ma la macchina fotografica le permise di catturare la vita che scorreva al di là della barriera.

Oggi le sue foto, dimenticate per decenni in una scatola di banane, ritraggono frammenti di un tempo andato. Il fascino di una cugina, un pranzo in famiglia, le vie acciottolate di Lucerna. Attimi rubati da un occhio attento, che ha saputo cogliere bellezza e poesia.
Lo sguardo delicato di Anne-Marie emerge dagli scatti ritrovati, regalando nuove sfumature di una donna misteriosa. Le sue fotografie raccontano più di tante parole una vita appartata, la ricerca di bellezza dietro la macchina fotografica.
Quell’obiettivo era il suo scudo. Proteggeva una donna sola, emarginata dalla malattia, e le permetteva di esprimersi. Anne-Marie von Wolff visse in disparte, ma seppe guardare il mondo che la rifiutava con grazia e talento visionario.

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