≡ Menu

l’incantesimo per creare qualcosa dal nulla…

Me lo regalarono un pomeriggio di primavera. Era grigio, squadrato ai bordi come le pietre del cortile. Aveva una fila di tasti color carbone, una tastiera fresca che aspettava le mie dita.
Lo accesi e vidi comparire le prime scritte sullo schermo nero. Era come veder nascere un mondo. Un mondo nuovo, di parole e numeri, codici che ancora non capivo. Provai a pigiare quei tasti, ed ecco che le lettere si animavano una dopo l’altra, come formiche operaie in fila indiana.
Divorai il manuale, una bibbia di istruzioni e segreti. Imparai l’alfabeto di quello strano idioma: Print, Run, Load. Scoprii che poche parole bastavano per dare vita a disegni e giochi, prima nel buio del monitor e poi nella mia testa. Era una magia, dove ogni formula era l’incantesimo per creare qualcosa dal nulla.
Mi chiudevo nella mia stanza e programmavo per ore. Creavo mondi di parole, con montagne di If e foreste di dati. Progredivo lento tra sintassi e bug, ma ogni passo era una vittoria. Era come imparare a parlare per la prima volta. Balbettavo frasi strozzate, parole basiche, ma stavo comunicando con la macchina.
Quel grigio concentrato di silicio era il mio primo maestro. Un maestro paziente, che non si stancava se sbagliavo battuta. Bastava cancellare, riscrivere, provare ancora mille volte. Ad ogni nuovo programma, ogni errore superato, il mio vocabolario si espandeva.
Presto non mi bastò più. Volevo imparare linguaggi più complessi, per poter creare mondi più vasti. Volevo parlare di più con quell’amico fatto di chip, entrare nel suo mondo binario.
Il Ti-99/4A mi aveva indicato la strada. Era stato la fessura che aveva aperto l’orizzonte. Aveva acceso la passione per i computer, un fuoco che non si sarebbe più spento.
Anche quando lo spensi per l’ultima volta, soffiando via la polvere dalla sua carcassa grigia, continuai a sentire un ronzio dentro di me. Era lo strano suono dei suoi circuiti, il fruscio della corrente che lo teneva in vita.
Oggi lavoro con computer dai nomi impronunciabili, veloci come falchi. Ma quando scrivo una riga di codice, quando vedo prendere forma un programma, c’è ancora il fantasma di quell’antico compagno sulla mia spalla.
Il suo ricordo è inciso nei miei occhi stanchi. È lì presente in ogni nuova creazione, in ogni soluzione trovata dopo mille tentativi. È la scintilla che mi spinge ancora a sperimentare, provare strade nuove, immaginare.
I computer passano, ma i maestri restano, ma quel vecchio computer della Texas Instruments rappresenterà, per sempre, il mio primo passo in un mondo di parole che non finirò mai di imparare.

{ 0 comments… add one }

Rispondi