La foresta è un rifugio, una casa. È il luogo in cui si può perdere per ritrovarsi, dove si ritrova il sé smarrito tra le foglie e i sentieri che sembrano non finire mai. È il dominio del silenzio, dove ogni rombo, ogni sussurro assume un significato profondo e imperscrutabile.
Alexandre Maia, custode di questo silenzio, lo conosce come pochi. Armato della sua macchina fotografica, ha calcato i sentieri dei boschi della Germania, imprigionando in pellicola analogica momenti fugaci di una bellezza selvaggia in costante metamorfosi. Ha calcato le ombre tra abeti e faggi, ha strisciato lungo brughiere e paludi, sfidando le stagioni e il tempo, in un continuo alternarsi di luce e oscurità. Non cercava solo di afferrare l’atmosfera raccolta, quasi monastica, della foresta, ma voleva mostrare i suoi mutamenti, lanciare un campanello d’allarme sulle problematiche ambientali e climatiche.
Le sue fotografie a colori non sono solo la celebrazione di alberi maestosi e panorami mozzafiato. Sono lo specchio di un ecosistema sottile e delicato, che rischia di svanire, di essere inghiottito dal nulla. Sono il grido di dolore di una madre Terra sofferente, un appello straziante a prenderci cura di ciò che abbiamo.
E anche il libro è un tributo a questa coscienza ecologica, un grido silenzioso. Stampato su carta riciclata tedesca, “Enter the Forest” è un manifesto di una nuova sensibilità, un appello all’attenzione e alla cura.
Entrare nei boschi attraverso le lenti di Maia è un’esperienza intensa, quasi mistica. Si torna a essere bambini, quando ogni cosa sembrava animata da uno spirito proprio. Si riscopre il legame ancestrale con la terra, si sentono i propri passi echeggiare come una preghiera sussurrata. In quel silenzio sacro, scorgiamo la nostra miseria e la nostra grandezza, riflesse nelle luci e nelle ombre della foresta.