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il frutto maturo di un amore mai sopito…

Il fotografo Ara Oshagan è figlio di Beirut, quel porto-rifugio dove gli Armeni hanno gettato l’àncora dopo la tempesta del genocidio. Lui, nato e cresciuto nei quartieri che odorano di caffè e za’atar, un giorno è partito. Ha spiccato il volo verso terre lontane, eppure il richiamo della città-madre gli è rimasto nel sangue.

Così, un mattino d’autunno è tornato con la sua vecchia Leica appesa al collo, i capelli brizzolati dal tempo e gli occhi pieni di ricordi. Ha percorso stradine, vicoli, piazze, assaporandone ogni crepa. Si è immerso nel paesaggio urbano spezzato di Bourj Hammoud, una casba verticale abitata dai suoi Armeni.

Con gesto lento ha puntato l’obiettivo verso volti, pareti scrostate, insegne logore. Ha cercato tracce, indizi, memorie. Le sue dita callose hanno premuto il pulsante, bloccando attimi per sempre sulla pellicola. In ogni scatto, una storia nascosta.

Oshagan non è un turista con la macchina fotografica. Lui conosce l’anima di questa città malridotta. Ne vede la bellezza lì dove altri vedrebbero solo degrado. La sua lente non mente, non abbellisce, scruta in profondità. Svela la poesia dietro la polvere, la luce oltre le ombre.

I suoi scatti raccontano di radici e di ali. Della malinconia dolceamara di chi è partito e ha lasciato un pezzo di cuore tra queste strade. Dicono lo stupore di ritrovare un cielo immutato dopo anni di assenza. Parlano di un popolo che non si arrende, che rinasce tra le macerie della storia.

Oshagan non è mai partito davvero da Beirut. Nel bene e nel male, quella rimane casa sua. Per questo ritorna spesso, e ogni volta scopre qualcosa di nuovo e antico insieme. Le sue fotografie sono il frutto maturo di un amore mai sopito. Linfa che scorre ancora tra queste vene di pietra.

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