Le immagini di Kai invitano allo stupore. Ritraggono corpi avvinghiati, pelli che si sfiorano in una danza tribale dai ritmi antichi. In quella nudità rituale non c’è vergogna, solo abbandono al mistero del contatto. L’intimità si fa offerta collettiva in un gesto sacro.
Quei corpi narrano con linguaggio arcaico. Parlano di radici profonde, che affondano in humus primordiale. Dicono dell’istinto pulsante sotto le convenzioni. Dell’energia tellurica che scorre in noi, nonostante la rinserriamo.
Kai osserva il rito con sguardo lieve. Ne coglie la grazia, l’innocenza del denudarsi. Illumina quelle carni di luce interiore. Le rende specchi puri, dove ritrovare la comune umanità.
Si spogliano, questi uomini. Depongono gli abiti, le maschere d’ogni giorno. Nudi come al primo vagito, si immergono nelle gelide acque, si lavano dalle scorie del vivere. Poi inchinano il capo al sacro, pregano con cuore sincero. Ma quando entrano nell’arena del rito, quando inizia la danza sfrenata, ritornano belve. Urlano selvaggi, i corpi si scontrano in carne contro carne. Sudano, grondano umanità da ogni poro. In mezzo a loro Kai ruba attimi con la macchina fotografica. Cattura gesti, smorfie, violenza e abbandoni in questi scatti da 綺羅の晴れ着. Quando le pelli nude si toccano, provano insieme orrore e piacere. I sensi acuiti percepiscono in ogni contatto l’energia della vita. La coscienza individuale annega nel calderone di corpi. Resta l’istinto, la forza magnifica e terribile della natura, di cui siamo figli anche se la società vuole domarci.
Nei rituali dell’uomo nudo, antichi e misteriosi, intravedo una verità: siamo insieme bestie e anime divine.