Le ricorrenze, come pietre miliari lungo il sentiero del tempo, ti colpiscono con una forza travolgente. Vengono, come la marea, inaspettate e inarrestabili, soffocando il respiro e pesando come macigni sul cuore. C’è una voce nella testa che ripete “Era un anno fa…”, un nastro che gira ininterrottamente.
Percorri con la mente i sentieri della memoria, ogni angolo, ogni incavo imbevuto della loro essenza. Gli occhi, serrati, tentano di catturare le sfumature di un sorriso, di un gesto, di un momento che ora si dissipa nell’aria come nebbia al mattino. Ma le immagini svaniscono, si frantumano in mille pezzi: specchi rotti che riflettono un passato ora irraggiungibile.
Ogni respiro è un singhiozzo silenzioso, ogni battito del cuore una preghiera non ascoltata. Cerchi di riempire il vuoto con il tumulto del quotidiano, con le parole dette e non dette, con i sorrisi offerti e ricevuti. Ma il vuoto si espande, divora ogni cosa. È voragine, abisso che risucchia la luce, che divora la speranza.
Sanguina, sì, sanguina il cuore.
Eppure, nella tristezza immutabile del tempo reale, c’è una bellezza nel dolore, nel ricordo. C’è una forza vitale nel rivivere quei momenti, nell’abbracciare il dolore come un vecchio amico, così come c’è liberazione nel lasciare che le lacrime scendano, nel lasciare che il dolore si esprima.
Perché ogni ricorrenza, ogni momento di silenzio, ogni brivido di malinconia è un tributo alla vita che è stata, alla sua presenza che ancora riecheggia nelle stanze vuote del tuo cuore. È un modo per dire “Hai vissuto, hai amato, hai riso, hai pianto. E io mi ricordo. Io non dimenticherò.”
Quindi sanguina, cuore. Sanguina in silenzio. Ma sanguina con amore. Perché è nel ricordo, nel dolore, che ritroviamo pezzi di noi che pensavamo perduti. E in quei pezzi, in quei momenti, ritroviamo il filo della vita che, nonostante tutto, continua a tessere il suo segretissimo disegno.
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