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rimango in silenzio e mi dispiace…

Sono una persona di poche parole e non mi ritengo un grande conversatore. Nonostante sia capace di ascoltare in mezzo alla gente, raramente prendo la parola, a meno che non abbia bevuto un po’ di birra. Amo il mio silenzio e mi sorprende l’effervescenza che circonda un evento che dovrebbe essere silenzioso: la morte.

Ho difficoltà anche ai funerali dove mi sento obbligato a partecipare. Non entro in chiesa, sia per mancanza di fede, ma anche perché apprezzo quel silenzio unico e peculiare che si vive fuori dalle chiese durante i funerali, un silenzio che consente riflessione e memoria.

Tuttavia, di recente siamo stati sommersi da un rumore tremendo e cacofonico alla morte del politico più amato e odiato della nostra storia recente. Chi lo ha amato ci ha tenuto a urlarlo ai quattro social, così come chi l’ha odiato, creando una contrapposizione identica a quella tra i perdenti della finale e quelli che godevano della sconfitta. In un paese dove tutto gira intorno al calcio e al tifo, la morte di Berlusconi è diventata un’occasione per esprimere le proprie opinioni, per ricordare, per raccontare.

La sezione necrologica del Corriere è così piena che non riesce a contenere tutti gli annunci. Almeno questi ultimi pagano per essere presenti, a differenza del mare di social media, dove nessuno riconosce la morte di un uomo complesso e sfaccettato. Alcuni lo vedono come un santo, altri come un individuo spregevole. Senza distinzioni, senza un senso di compassione o consapevolezza del dolore altrui che raramente emerge.
La mitomania si diffonde. I consiglieri comunali di Genova del PD e del Movimento Cinque Stelle lasciano l’aula durante il minuto di silenzio per Berlusconi, dimostrando la loro incapacità e segnalando la loro sconfitta nelle elezioni per i prossimi secoli. Parallelamente, un’immagine gigante di Berlusconi appare sulla facciata del palazzo della Regione Liguria, come se fosse morto un dittatore nordcoreano, trasformando tutto in uno show stile Las Vegas. Salvini va in tv e dei 30 anni di politica di Berlusconi ricorda solo che gli chiese di tagliarsi la barba e lui senza la barba sta male. Poi torna a casa e posta una foto di sé che si rade la barba in memoria di Berlusconi. (Mi domando, seriamente, se qualcuno lo stia seguendo – uno buono, intendo – o consigliando).

Tutti sono in fermento e quelli che fanno battute cercano di essere i primi a farle. “Aspettiamo tre giorni”, l’ho letta trecento volte. Molti di coloro che lo odiavano scrivono parole eleganti e compassionevoli, forse capendo che odiarlo ha definito la loro identità, ha dato un senso alla loro esistenza. Quanti giornalisti, comici, politici non sarebbero quello che sono senza l’antiberlusconismo militante? Il Fatto ha titolato “Il Banana” – con un orgoglio a malapena nascosto – Sì, siamo noi che per primi lo abbiamo combattuto. Lo abbiamo chiamato Il Banana, ma anche lo psiconano.
Ma ora è morto. La partita è finita. Non c’è un terzo tempo nella vita…

E così, rimango in silenzio e mi dispiace per la morte di un altro che invece mi ha fatto ridere consapevolmente.

Mi riferisco alla morte di Francesco Nuti che, tra i tanti errori commessi nella seconda parte della sua vita, ha sbagliato anche il giorno in cui morire. Ma Francesco Nuti faceva ridere, aveva senso del ritmo, sapeva scrivere. E “Caruso Pascoski” è un capolavoro. E quando toccherà a me, in quel momento in cui ti dicono che la tua vita ti passa davanti, mi rivedrò al cinema Lendi, ridendo fino alle lacrime, guardando la scena in cui, dopo aver picchiato un bambino che lo aveva infastidito per tutto il film, lo trascina in un vicolo per dargli una lezione, poi esce e il bambino gli urla ancora “stronzo!”. E lui prende in mano una sbarra di ferro e torna indietro per dargli il colpo di grazia.
Madonna!

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