La montagna, custode secolare e silenziosa, non è solo un ammasso di roccia che sfida il cielo. È un’anima, un respiro, una voce che ci chiama e ci interpella. Questo, in sintesi, il cuore di “Le otto montagne”, storia di due destini intrecciati, quello di Pietro e di Bruno, germogli di terre diverse, radicati però nella stessa madre montagna.
La montagna non è un semplice sfondo, è una presenza viva, un’entità che si evolve, si trasforma, muta forma e colore a seconda del tempo, della luce, del vento. Nell’opera cinematografica, sebbene costellata da incertezze, da momenti di inerzia, il cuore del racconto pulsa forte. L’amicizia tra Pietro e Bruno, i sentieri della vita che decidono di percorrere, i loro conflitti interiori, le relazioni con i padri, si mescolano come i colori di un quadro.
Gli interpreti, Marinelli e Borghi, calzano i panni dei loro personaggi con un’autenticità disarmante. Vestono le loro vite, animano i loro respiri, rivelano i loro cuori. Essi mettono in scena il dramma umano con le sue luci e ombre, le sue contraddizioni, le sue sfumature.
“Le otto montagne” è una sinfonia di immagini e suoni, un inno alla grandiosità e alla saggezza delle montagne, ma anche alla loro intima bellezza, alla loro voce silenziosa che ci parla di radici, di appartenenza, di identità.
La parte del racconto che narra la perdita di Bruno è come una lama che taglia il fiato. La baita, sommersa dalla neve, diventa un sepolcro aperto, un luogo sospeso tra la vita e la morte. Pietro, l’amico, il fratello di montagna, continua il suo cammino, portando nel cuore il ricordo di Bruno. “Nella vita ci sono montagne sulle quali non si può tornare.” Eppure, sulla montagna più alta, lì dove il cielo e la terra si toccano, Pietro ha lasciato un pezzo di sé, un pezzo di Bruno.
“Le otto montagne” è un viaggio attraverso le pieghe dell’esistenza, un pellegrinaggio tra le luci e le ombre della vita. Una storia di perdita e ritrovamento, di amicizia e lutto, di amore e morte. E come in ogni viaggio, ciò che resta è un’impronta indelebile, un segno che ci segna, un ricordo che sopravvive anche quando sembra che tutto sia perduto.