Viviamo un’era dell’inganno. Ci appare come una vasta piazza in cui si affacciano balconi di perfezione, ma quando scrutiamo da vicino, scorgiamo soltanto una giungla di falsità. Questa è l’epoca del digitale, la stagione del ritocco, la mutazione del reale in un’astrazione ideale. La mano dell’uomo non lascia più tracce sui suoi capolavori, ma si nasconde dietro algoritmi e programmi.
L’arte, una volta vestita di umanità, adesso veste l’impersonale perfezione. Guardi una foto, ed è tutto al suo posto, nulla pare fuori tono. I colori sono al posto giusto, le forme perfette, le linee nette e le ombre sono una reminiscenza di ciò che era. L’anima del fotografo non trapela più, annegata nell’oceano della cosiddetta perfezione.
È un canto al vento, mi dirai, queste parole mie. Ma prova a pensare: l’arte non era forse la nostra testimonianza nel mondo? Non cercava forse di imprimere su tela, carta, pellicola, le nostre imperfezioni, la nostra vita, la nostra umanità? Ecco, ora tutto è pulito, tutto è levigato, tutto è perfetto. Eppure non senti anche tu un vuoto? Non ti mancano le sbavature di inchiostro, le macchie di pittura, la grana della pellicola?
Guardo questa perfezione e vedo un simulacro, una menzogna. Un’immagine che non dice nulla di chi l’ha creata, una pagina bianca su cui non è stata impressa alcuna storia. Mi chiedo: dov’è finita l’arte nostra, quella sporca, quella vissuta, quella vera? Mi chiedo: dov’è finita l’arte, la nostra voce nel mondo?
Ricordiamo allora che l’arte non risiede nella perfezione, ma nel suo contrario. Ricordiamo che l’arte è una questione di coraggio, di esporre le nostre imperfezioni al mondo, di condividere le nostre storie. Non dimentichiamo che l’arte non è una questione di tecnica, ma di anima.
Che la nostra mano possa lasciare di nuovo il suo segno, il suo tratto unico e irripetibile. Che possiamo risvegliare l’anima dell’arte, lasciando che l’imperfezione, l’incoerenza, la nostra umanità, possa di nuovo risplendere. Forse, in fondo, è proprio queste imperfezioni che rendono la nostra arte – e noi stessi – così straordinariamente umani.