Le idee di Pasolini vengono rievocate: gli esecutori dell’ordine, polizia e carabinieri, traggono le loro radici dal medesimo humus popolare, un humus che molti, avvolgendo sé stessi nel manto del benessere, guardano da lontano. Essendo gemme dello stesso albero popolare, diventa agghiacciante constatare l’emergere continuo di filmati (gli ultimi due provenienti da Milano e Livorno) che ritraggono una veemenza contenuta che genera sconcerto, veemenza direzionata a quei cittadini che, nel gran quadro sociale, non figurano tra i più potenti.
Ci si richiama alla memoria il palcoscenico descritto da Pasolini, con i proletari (poliziotti) che fronteggiavano i rampolli (studenti). Ma oggi, a subire la violenza sono gli esclusi, il popolo comune. Non si vuol dire che sia meno grave aggredire un magnate o una dama di nobili origini; lo Stato dovrebbe adoperare lo stesso rigore con tutti, ma anche lo stesso rispetto. Questo serve a chiarire che l’interpretazione strumentale del Pasolini “pro-polizia”, cara alla destra, deve essere inquadrata nel suo contesto storico; non è opportuno invocarla quando si osservano figure in divisa, uomini e donne, che aggrediscono transessuali, commercianti ambulanti o senzatetto.
È l’inquietudine di un timore, quello che la destra al potere (non trascurando, per equità, una componente fascista) stia consentendo comportamenti rigidi. Che ragazzi dalle radici semplici, solo per il fatto di indossare un’uniforme, pensino che “ora” sia il tempo giusto per far uso della forza. Un dovere fondamentale della destra al governo dovrebbe essere illustrare che la linea tra il lecito e l’illecito, in uno Stato di diritto, non cambia in base a chi presiede il Viminale, destra, sinistra o chi per loro. Di solito, i criminali considerano il corpo altrui un territorio da violare. E lo fanno con brutalità. Ma coloro che rappresentano lo Stato non devono e non possono comportarsi allo stesso modo, a prescindere da chi sia emerso vittorioso nelle urne.