Nel linguaggio delle ombre e delle luci di Oriol Maspons, l’occhio non s’imbatte ma s’immerge in un’onda che trasporta storie incise in uno scatto di eternità. Il suo non è un atto meccanico di cattura, ma una danza di interazione con il reale, un dialogo con la profondità nascosta di ogni soggetto ritratto.
C’è un’essenzialità nuda e pulita che pervade il lavoro di Maspons, una narrativa visiva spogliata di orpelli superflui. Eppure, non è mai un vuoto di significato, bensì un invito a esplorare l’inaspettato. I suoi scatti, come poesie mute, ci inducono a riguardare, a riconsiderare le nostre prospettive, a indagare più a fondo.
La fotografia di Maspons non è un mero documento del reale, ma un delicato atto interpretativo, un’intima rilettura del quotidiano. Egli sembra trovare nel familiare l’insolito, nell’ordinario l’eccezionale, restituendo alle sue immagini ciò che l’occhio comune spesso omette.
In ogni suo lavoro, la dignità del soggetto emerge con forza, sia esso un volto umano, un paesaggio o un oggetto quotidiano. C’è un rispetto palpabile per la vulnerabilità e l’unicità intrinseche in ciascuno, come se ciascuno avesse un’essenza, un battito proprio che l’artista riesce a trattenere con la sua lente.
E qui, nel mare delle considerazioni personali, si disegna un pensiero universale: Maspons ci insegna che la bellezza non è un concetto statico e assoluto, bensì una relazione, un dialogo tra l’occhio e il mondo. La sua arte diviene così strumento di espansione, di rivelazione, un monito a cercare la bellezza ovunque, perché è sempre presente, se solo siamo disposti a scorgere.
Ogni scatto di Maspons è un frammento di mondo che prende vita, si rivela e parla. Parla di umanità, di semplicità, di verità nascoste. E ciò che ci sussurra, con la voce silenziosa dell’immagine, è una storia che merita di essere ascoltata.