Le parole di Feynman sono un urlo di dolore che si mescola all’amore, un amore così potente da oltrepassare il confine tra la vita e la morte. Il suo linguaggio, pur nella sua semplicità, porta con sé un peso immenso: quello del desiderio, della mancanza, della solitudine. È come se ogni frase fosse una goccia di pioggia in un acquazzone incessante. Un poeta giapponese ha detto una volta che leggere in traduzione è come fare la doccia con un impermeabile. Forse è vero. Ma in certi scritti, come questo di Feynman, l’acqua è così abbondante che finisce per inzupparti, nonostante l’impermeabile.
[scusate per la traduzione, è quanto di meglio sono riuscito a fare]
17 Ottobre 1946
D’Arline,
Ti venero, mio tesoro.
So quanto ami sentirti dire queste parole – ma non le metto su carta solo per compiacerti – le scrivo perché sento un calore avvolgente dentro di me nel farlo.
È trascorso un tempo infinito dall’ultima volta che ti ho scritto – quasi due interminabili anni, ma sono certo che mi perdonerai, perché capisci la mia natura, ostinata e realista; e credevo non avesse senso scrivere.
Ora, però, comprendo, mia cara sposa, che è giusto fare ciò che ho rimandato, ciò che ho tanto evitato in passato. Voglio dirlo: ti amo. Voglio amarti. Ti amerò per sempre.
Mi risulta difficile concepire cosa significhi amarti ora che non sei più tra noi – eppure, sento ancora il bisogno di confortarti, di prenderti cura di te – e desidero che tu mi ami, che tu ti prenda cura di me. Vorrei avere problemi da discutere con te, vorrei lavorare a piccoli progetti insieme a te. Solo ora mi rendo conto che possiamo ancora farlo. Cosa dovremmo fare? Abbiamo iniziato a imparare a confezionare vestiti insieme, a studiare il cinese, a procurarci un proiettore per film. Non posso fare qualcosa ora? No. Mi ritrovo solo senza di te, tu che eri la “donna delle idee”, la molla che dava avvio a tutte le nostre avventure pazzesche.
Quando eri malata, eri preoccupata perché non potevi darmi qualcosa che desideravi fortemente e che ritenevi necessario per me. Non dovevi preoccuparti. Come ti dissi allora, non c’era un vero bisogno, perché ti amavo in così tante maniere, così profondamente. Ora è ancora più evidente: non puoi più darmi nulla, eppure ti amo a tal punto che mi impedisce di amare chiunque altro – e voglio che tu sia lì, a farmi ombra. Tu, anche se non più in vita, sei per me molto più preziosa di chiunque altro ancora vivo.
So che mi dirai che sto facendo lo sciocco e che desideri per me la piena felicità, che non vuoi essere un ostacolo. Scommetto che sei sorpresa del fatto che non abbia una fidanzata (a parte te, tesoro) dopo due anni. Ma non puoi farci nulla, amore mio, e nemmeno io posso – non lo capisco, poiché ho conosciuto molte ragazze, tutte molto carine, e non voglio restare solo – ma dopo due o tre incontri tutte sembrano svanire. Solo tu resti per me. Tu sei reale.
Mia cara moglie, ti venero.
Amo mia moglie.
Mia moglie è morta.
Rich.
PS Perdonami se non spedisco questa lettera – ma non so a quale indirizzo inviarla.