Siamo al tramonto dei luminari. Sfiancati dalle critiche, consumati dai consulti e dal cerone, la virologa Ilaria Capua arriva a definirsi ex virologa e il dottor Burioni si mette in autoquarantena mediatica almeno fino alla seconda ondata del virus. Da Milano, poi, l’infettivologo Galli, sfibrato dalle critiche e dalle accuse, ritiene di dover precisare di non aver ricevuto manco un euro uno per le sue innumerevoli videoconsulenze professionali.
Quando la pandemia impazzava e ci teneva tappati in casa e il pensiero illuminante dei virologi volava, come dice il poeta, “veloce di bocca in bocca” a rassicurar le nostre paure e a sedar le nostre smanie, anche la minima critica mossa nei confronti di questo o quell’altro luminare era considerata prova di oscuri e subdoli conflitti d’interesse o, peggio ancora, di collaborazionismo con il viscido nemico invisibile. Man mano però che la curva dei contagi s’è abbassata sono prevalse la temerarietà e la sfacciataggine di ognuno di noi. E chi fino a ieri fulminava con lo sguardo lo smanioso runner, adesso se ne va in giro fiero con lo spritz in mano e senza mascherina a rinfacciar ai virologi di aver lucrato sulle sue paure. Si tratta di un’ingiustizia bella e buona, certo, ma non è affatto una novità. L’uomo ha da sempre avuto bisogno di un idolo da adorare e da far penzolare a testa in giù. Quando qualcuno si inginocchia davanti a te è perché sta prendendo le misure delle caviglie per quando dovrà comprar la corda per mostrarti in piazza. Eppure s’era detto che ‘sto virus ci avrebbe reso migliori. Però – e questa valga come difesa non richiesta – ‘sta sciocchezza l’avevano sostenuta gli intellettuali, mica i virologi.
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