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…ciò che non c’è

Cantano anche se non sentono e non parlano. Sono quelli del coro delle “mani bianche”: bambini che non possono sentire con le orecchie né cantare con la voce, ma lo fanno con le mani; mani inguantate di bianco che si muovono nell’aria a disegnare la musica, mostrandocela così com’è.

Pare – a sentir uno dei loro maestri – pare, dicevo, che avvertano la vibrazione della musica nel diaframma, un po’ più su della pancia: un movimento segreto e remoto, qualcosa come ali di farfalla che si colorano di colori diversi a seconda dell’intensità e della natura del suono.

I colori della musica tutti potremmo ascoltarli, ma siccome noi usiamo le orecchie, ché è più semplice, non abbiamo mai imparato a sentire con il resto del corpo. Nessun ce l’ha insegnato, non serviva. A loro, invece, a quei ragazzi, l’hanno insegnato, e guarda che meraviglia!

Basta guardarli, ecco, per sapere perché non hanno qualcosa di meno, ma certamente qualcosa di più. Ché quel che gli manca è diventata la loro ricchezza. Che l’assenza è davvero una più acuta presenza. Vale per la voce, vale per l’udito. Vale per le persone che c’erano e non ci sono più. Vale per noi che non smettiamo un minuto di cercare ciò che non c’è. Di desiderare quello che manca.

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