Intanto che Giggino Di Maio, già più banale, intesse alleanze e s’accorda sulle presidenze e, al bordo campo, dalle colonne del suo nuovo blog, il fondatore Grillo vaneggia di reddito per diritto di nascita e di lavoro, il figlio del compianto Gianroberto, Davide Casaleggio, vola altissimo dalle colonne del Washington Post: “The Five Star Movement – attacca così il Casaleggio –, which launched in 2009, has now achieved a landmark success among Western democracies by using the Internet to play a crucial role in the electoral process”. Lo scopo dell’articolo? Presto detto: ragguagliare gli americani sul programma del Movimento scritto, a suo dire, dagli stessi cittadini – non è vero, in buona parte quel programma è stato scopiazzato da economisti, parlamentari (anche del Pd, anche del Pd!) e da Wikipedia–; gli stessi cittadini che – almeno è così che lui va raccontandosela – hanno selezionato i candidati (“Our parliamentarians who stood for election were chosen through online voting on the Rousseau platform”) – non è vero neanche questo: i candidati dell’uninominale sono stati scelti de facto da lui e dal capo politico. È tutto? No, chiaramente. Ché, con un tratto avveniristico, sospinto da “an unstoppable wind that will continue to grow because it is aligned to the future”, il Casaleggio jr si lancia in un pippone filosofico su Jean-Jacques Rousseau nell’amministrazione del mondo tramite la “volontà generale”. Sentite qua: “The platform that enabled the success of the Five Star Movement is called Rousseau, named after the 18th century philosopher who argued politics should reflect the general will of the people. And that is exactly what our platform does: it allows citizens to be part of politics. Direct democracy, made possible by the Internet, has given a new centrality to citizens and will ultimately lead to the deconstruction of the current political and social organizations. Representative democracy — politics by proxy — is gradually losing meaning”.
Come dite? Pensate che Rousseau sia stato leggermente frainteso? Sì, lo pensiamo anche noi, ché quella di cui parlano i Casaleggio (lo diceva il padre prima, lo ripete paro paro il figlio adesso) è la volontà di tutti cosa assai diversa, invece, dalla volontà generale.
La volontà generale è cosa assai diversa d quella di tutti, ché solo quella generale e solo questa “può dirigere le forze dello Stato secondo il fine per cui questo è stato istituito, cioè il bene comune; infatti, se l’opposizione degli interessi particolari ha reso necessaria l’istituzione della società, questa a sua volta è stata resa possibile dalla concordanza di quei medesimi interessi. Proprio ciò che vi è di comune in questi diversi interessi forma il vincolo sociale, e se non vi fosse qualche punto sul quale tutti gli interessi si accordassero, nessuna società potrebbe esistere. Orbene è unicamente sulla base di questo interesse comune che la società deve essere governata […] Ma quando sorgono delle consorterie, delle associazioni parziali a spese della grande associazione, la volontà di ognuna di queste associazioni diventa generale nei confronti dei suoi membri e particolare nei confronti dello Stato. Si può dire allora che non vi sono più tanti votanti quanti sono gli uomini, ma soltanto quante sono le associazioni. Le differenze divengono meno numerose e danno un risultato meno generale. Infine, quando una di queste associazioni è così grande da superare tutte le altre, non si ha più come risultato una somma di piccole differenze, ma una differenza unica; non vi è più allora una volontà generale, e l’opinione che ha il sopravvento non è che una opinione particolare” (da Jean-Jacques Rousseau, Il contratto sociale, II, 1; II, 2; II, 3). Se c’è passione, insomma, si arriva al plebiscito e giù giù fino all’orrore (avete presente Gesù e Barabba, vero?). Ecco, da qui a sostenere che il Movimento sospinto dal vento del vaffa (e dal tutti so’ corrotti e tutti so’ ladri) sia scevro dalla passioni, ci vuole non dico fantasia ma quantomeno la faccia tosta come il culo di un vecchio cardinale della Curia! Anche se, come si sa, in Italia quella – la faccia tosta come il culo, dico – non manca affatto.
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