“Oltre a Giada (nome di fantasia della bambina di 13 anni) ci sono state altre quattro che subivano esorcismi, alcune sui 15-16 anni”, racconta la prima delle ragazze a denunciare le violenze. «Lui sazia la sua carne con atti sessuali. Gli piaceva toccare, ma ha fatto anche qualcosa di più grave. A me». E ancora: «Nei confronti della minore venivano praticati riti medievali – scrivono i magistrati – le “benedizioni” prevedevano che il sacerdote tirasse i capelli e le orecchie alle donne, le faceva posizionare in ginocchio e con la testa a terra, calpestando la testa con i suoi piedi».
Questo, in sintesi, è quello che sta emergendo dalle dichiarazioni sul caso [*] di Don Michele Barone, il prete, che coperto da una inaudita quanto inspiegabile cortina di omertà e ignoranza, commetteva indisturbato abusi sessuali ai danni di ragazzine minorenni (le più, pare di capire, affette da gravissime patologie psichiche) nella diocesi di Aversa. Don Michele, stando alle ricostruzione degli inquirenti, avrebbe costretto le ragazzine a ingoiare olio e acqua santa mescolando l’acqua con la sua saliva e, infine, le avrebbe più volte sputato in bocca aprendo le labbra con forza quando queste si rifiutavano di ingoiare. Lo faceva perché, dicono i testimoni, le ragazze “erano governate dal demonio”.
In questo agghiacciante quanto surreale quadro che viene a delinearsi, stride la posizione del Vescovo, Angelo Spinillo, che, per ora, secondo quanto leggo dai giornali, si è detto “basito” perché citato nell’ordinanza del giudice: “Non ero informato di quanto emerso poi dalle indagini” – ha dichiarato in una video-intervista a pupia.tv.
Ora, quand’anche possa ritenersi credibile che l’attività di questo prete non fosse nota ai responsabili della diocesi in cui operava – se non è assurdo, è grave – c’è da dire che per un vescovo diocesano non può valere il “non sapevo” col quale potrebbe farsi scudo il responsabile di una qualunque istituzione laica, ché, Codice di Diritto Canonico alla mano, al Can. 391 viene detto: “Spetta al Vescovo diocesano governare la Chiesa particolare a lui affidata con potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto”. Il vescovo, insomma, è pienamente responsabile del governo della Chiesa particolare di cui è il titolare, salvo grave negligenza o palese inadeguatezza all’incarico. Può non essere in grado di evitare un abuso, ma è tenuto a saperlo.
O complice omertoso o vescovo da quattro soldi: cosa è meno peggio per chi la Chiesa definisce “un successore degli apostoli”?
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