A cadavere caldo, anche se il cadavere è quello di un balordo [*], bisognerebbe portare rispetto, parlare a bassa voce e non lasciarsi andare in frasi di giubilo o, peggio ancora, cavalcare lo sdegno per squallidi fini elettorali, come invece capita a qualche politico (sì, il solito, sempre lui) da saloon. Ammazzare un ladro per eccesso di legittima difesa non è un atto di giustizia, è un’atroce disgrazia. Su questo punto si dovrebbe essere tutti d’accordo, a meno che non si voglia privatizzare la pena di morte. Gli ammazzaladri, insomma, non si ergano a giustizieri, abbassino lo sguardo e stiano per una volta in silenzio. Quanto alla tifoseria opposta, meno rumorosa ma altrettanto tenace nei suoi pregiudizi, urge una seria riflessione. Un rapinatore in casa propria (sia essa l’attività commerciale o la dimora privata, poco importa) non attenta solo alla roba. Attenta alla persona, alla sua sicurezza, alla sua integrità fisica e psicologica. Chi reagisce fuori misura non può essere trattato come un assassino o come un esaltato. Deve essere trattato come una persona che per rimediare a un reato ne ha commesso un altro. Punto. Possibile che non si riesca a trattare questi casi con pietà e misura? Possibile che ci si debba dividere, con ridicola foga, in “amici del ladro” e “amici del giustiziere? Ci sono storie, ci sono spaventi, ci sono dolori che non sono riassumibili in un’alzata di spalle o in uno sciocco anatema. Un morto non lo si sventola come una bandiera, né per farne una vittima innocente né per farne un lurido parassita da eliminare. Tra il bianco e il nero esiste una infinita scala di grigi. Abbiamo il dovere di testimoniare anche il grigio.
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