La ridicola vicenda capitata al sindaco di Modena, raccontata da Mattia Feltri su la Stampa di oggi (*), mostra, se ve ne fosse ancora bisogno, quanto ridicola sia l’applicazione del decreto sulla par condicio. Viene da ridere a pensare allo spreco di energia dei solerti funzionari pronti a misurare e a sanzionare ogni abuso, ogni possibile squilibrio di poveri giornalisti trasformati in clessidre a disposizione dei politici. Ma, come tutte le foglie di fico, il decreto sulla par condicio almeno un pregio lo possiede: evidenzia, come una toppa bianca su un cappotto nero, la vergogna sulla quale è apposta, e cioè la scandalosa mancanza di una legge antitrust sulla proprietà delle televisioni e dei giornali. Nessuno, neanche il più fiscale degli svizzeri, si sarebbe mai sognato di invocare una legge a tutela dei diritti politici (perché, in soldoni, di questo si tratta) se i politici stessi non fossero strutturalmente minacciati dal grottesco strapotere di un politico-imprenditore che ha contrapposto alla televisione pubblica, lottizzata da tutti, un equivalente monopolio personale, lottizzato da lui solo e infarcito di suoi suffragetti travestiti da giornalisti, suoi spot di partito camuffati da telegiornale, suoi guitti, vallette, conduttrici, prestigiatori, animatori, cortigiani e ballerine scosciate comprati all’ingrosso un tanto al kilo che per fame o per potere sventolano la bandierina di Forza Italia. Questo schifo andrebbe ricordato ogni mattina da ogni italiano (di qualunque schieramento esso sia). Se – e sottolineo se – fossimo un Paese civile.
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