Pare che Facebook si sia dotato di un nuovo algoritmo capace — almeno secondo le intenzioni dichiarate — di combattere le fake news attraverso una “alfabetizzazione” più o meno consapevole dell’utente. La parola “alfabetizzazione” fa venire in mente il dopoguerra, il maestro Manzi, la matita in mano a operai e massaie con la stessa potenza emancipatrice dello Sputnik e della lavatrice. Che sia il giovane Zuckerberg a lanciare ai giorni nostri una “campagna di alfabetizzazione” per gli utenti dei social è dunque una notizia bellissima. Emana il profumo buono da èra nascente. Credevamo di essere a Bisanzio e magari, invece, abbiamo appena mosso i primi passi per la Città del Sole. Ancora più sorprendente è che Facebook, per questa sua missione pedagogica (per la quale potrebbe investire addirittura uno zero virgola qualcosa dei suoi giganteschi introiti), dichiari di volersi servire della stessa community per valutare l’affidabilità delle fonti che pubblicano su Facebook: il destino di publisher, testate e broadcaster dipende quindi — udite, udite — da un paio di banalissime domande poste alle stesse persone che negli anni scorsi hanno creduto alle fake news, le hanno condivise con gli amici e che oggi, dall’alto della loro esperienza, si trasformano in giudici supremi della veridicità di una fonte giornalistica. Permetteteci di dubitare. Lalfabetizzazione dei social è unimpresa lodevole ma impervia, non sappiamo — ne dubitiamo fortemente, a dire il vero — se gli stessi utenti siano in grado di rendersi utili. Ci permettiamo di suggerire — ed è anche un contenimento dei costi — dei buoni correttori di bozze. Un bell’Ufficio Correttori planetario, che mettesse anche gli insulti e le cazzate condivise in buon inglese (francese, italiano, russo, mandarino, eccetera).
Sarebbe già un grande passo avanti.
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