È cronaca quotidiana, purtroppo: ragazzini giocano con la vita degli altri e con la propria. A Milano – leggo ora dal corriere.it – un 56enne, aggredito da adolescenti sul bus, reagisce e ferisce a coltellate un 17enne. A Verona, invece, dei ragazzi hanno bruciato un uomo per scherzo; a Napoli e a Torino, hanno massacrano altri ragazzi per togliergli il cellulare, la milza, o qualcosaltro. Anche se i numeri sono modesti – restano comunque atti gravi da denunciare, fossero anche un paio soltanto – di fatto cè da dire che cose del genere avvengono laddove della vittima cancelli qualsiasi elemento che possa fartelo sentire a te simile. L’altro, quello che hai difronte, deve, ai tuoi occhi, apparire come un pupazzo che, goffamente, cerca di imitare una vita vera, e come tale non è degno quindi di stazionare nel tuo stesso territorio, non merita di usare il cellulare, va punito il più selvaggiamente possibile per il solo fatto di aver cercato di assumere connotati umani. Insomma, a volerla far breve, la violenza che esprimono questi ragazzi è indice di quanto hanno ben appreso la più terribile delle lezioni degli adulti, della malata società degli adulti: svuotare gli altri di umanità e svuotarci – per una complicatissima legge di vasi comunicanti – a nostra volta di sensibilità. Ciò che questi casi di atrocità e cieca ferocia stanno cercando di dirci è che dobbiamo fermarci e smettere di lasciar correre. Questi ragazzini, malgrado la loro giovane età, non sono affatto un punto di partenza, ma di arrivo, il nostro – appunto. Essi sono noi, il nostro riflesso su uno specchio deformante di adulti peggiori e senza scrupoli; uomini e donne addestrati a muoverci in branco per sentirci i più furbi, i più spietatamente insensibili, i migliori.
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