A dar retta ai Tg sembra che in Italia stia morendo quasi una gravida al giorno e la cosa, mi pare chiaro, mette tutti “in allarme”. La coincidenza non può essere casuale, è chiaro che sia “sospetta”, “inquietante”, urgono gli ispettori negli ospedali, ché — è l’incipit di un articolo su la Republica di ieri — “la paura che qualcosa vada storto al momento del parto o poco prima sta togliendo il sonno a donne in gravidanza e la serenità a ginecologi.”
Provare a sollevare qualche dubbio sul fatto che si tratti di un’“emergenza” comporta il rischio di beccarsi il severo biasimo di voler minimizzare, magari per compiacere qualcuno o, peggio ancora, per torbidi interessi di parte. Inutile star lì a discutere o, comunque, provare a spiegare che la gravidanza, di per sé, è una condizione a rischio e che certi eventi patologici con esito letale, purtroppo, sono imprevedibili; no, si rischierebbe di turbare la bucolica convinzione che il parto sia una “cosa naturale” (come se la morte non lo fosse) o, peggio ancora, si negherebbero i guasti della malasanità. Niente, il medico, in questi casi delicati, è giusto che taccia e venga messo sotto processo. È vero, la signora ha messo in gravidanza venticinque chili (in ossequio alla autorevolissima Scuola Ostetrica di Secondigliano, che recita “sei incinta? mangia per due, la gestosi non esiste”), ma, se è morta, la colpa dev’essere di qualcuno altro. Punto.
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