Da queste parti siamo liberali – abbiamo la fissa dell’autodeterminazione dell’individuo. A voler sintetizzare, insomma, pensiamo che un prelato (più o meno alto nei suoi incarichi) abbia tutto il diritto di fare della propria vita ciò che gli pare, anche di metterla intera nelle mani altrui, fossero anche quelle lorde di un vizioso pedofilo. Non avanziamo discriminazioni né di credo né di specie: pensiamo che lo stesso diritto abbiano il neofita della setta satanica, il masochista che prende impegno presso il sadico, il giovane gesuita che s’affida agli esercizi spirituali ignaziani o il novizio che si dà a battersi il petto in devozione alla Vergine dell’Arco. Se adulto e consenziente, ciascuno si faccia far male come più gli aggrada, basta che non rompi il cazzo al prossimo lamentandosi della bua e che — ben inteso — non inciampi nel codice penale. Su quello, poi – il codice penale, dico – non è detto che non si possa provar a ragionare, dargli magari una spuntatina qua e là, se è il caso – e a questo scopo, se è il caso, qui si è orientati sempre e comunque per lo strumento democratico. Il nostro commento, quindi, non avrà il tono di chi frulla indignazione e sarcasmo a preparar una densa pappina facile a digerirsi. Diremmo — avendone occasione — al prelato gay: “Figliolo caro, vogliono farti violenza contro la tua volontà? Facci un fischio, a rischio della nostra vita, fieri dell’insegnamento di Voltaire, verremo a salvarti. Ma, se bazzichi tra quelle sacre mura — e, sia detto per inciso, ci bazzichi da parecchio visto che t’hanno fatto segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale vaticana e ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede — per tua libera scelta, se a fronte di ciò che hai visto e sentito nel corso degli anni hai continuato a sentirti parte attiva di quella comunità di pervertiti e omofobi incalliti invece di mandali a fare in culo come giustamente meritano di andare, beh, carino, vedi di non romperci il cazzo più del consentito. Nella tua decisione di prendere i voti, nel pacchetto di impegni che liberamente ti sei preso l’onere di firmare, c’era , figliolo caro, l’obbedienza cieca, assoluta, basata sulla perfetta coincidenza della tua volontà e della tua identità con la volontà e l’identità sovraindividuale che è la Chiesa — Extra Ecclesiam nulla salus, ricordi? Tu, proprio tu — segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale vaticana e ufficiale della Congregazione per la dottrina della fede, dico — , non sapevi dell’omofobia della tua Chiesa? Via, smetti i panni della vittima: ti fanno difetto al culo, vedi?”. Insomma, se non fosse stato chiaro, non ce la sentiamo di tentare la presa di una Bastiglia nella quale i prigionieri sono entrati di propria sponte, a mani giunte, cantando, per giunta, con gli occhi al cielo, dalla quale possono uscire in ogni istante, e non escono.
Al prelato gay — avendone occasione — diremmo: “Forse, fratello caro, ci hai frainteso; forse non siamo stati capaci di spiegarci bene: se la Chiesa non pretendesse così spesso – con arroganza, quando le è concesso – di metter becco nella società come fa in seminario, noi stessi smetteremmo di occuparcene, come ce ne fottiamo degli affari privati tra il giovane gesuita in posa estatica, in preghiera forzata da giorni, e il sadico maestro che gli lavora il cervello col crivello del peccato. Piuttosto, carino, in quel che accade con questa presa di posizione in seguito al tuo caming out, noi, se ti può essere utile saperlo, ravvisiamo qualche lieve incongruenza con la Dottrina. Se permetti…”. S’era detto — certo ricorderai — che l’omosessuale non fosse peccatore, se in regime di piena castità. E cioè – tu forse potrai anche elencarci le tre encicliche alle quali qui ci riferiamo – s’era detto che non già l’omosessualità fosse peccato, ma l’atto omosessuale. Ancora: s’era detto che una cosa sia l’errore, altra l’errante. Ora, tu m’insegni, che un prete dovrebbe esser casto per il voto istesso, e allora non si capisce perché non possa essere omosessuale, se tutto astinente – un prete omosessuale non dovrebbe essere un ossimoro, se l’omosessualità non si esprime attraverso atti omosessuali. Certo, e qui ritorniamo al tuo caso, avresti dovuto chiarire meglio la tua posizione, e su questa poi si dovrebbe esser sicuri – la Chiesa, in particolare, vorrebbe esser sicura. Concediamole il punto a favore, ma — ma — nemmeno si capisce perché un prete gay non possa continuare a fare il prete, se si pente ogni volta che pecca, venendo meno all’impegno assunto. Il pentimento e l’assoluzione lavano ogni peccato, no? C’è lo scandalo, indubbiamente. Lo scandalo è il pallino fisso della Chiesa, da sempre — macina al collo e giù a fondo nel fiume, disse quello. Oppure: la questione è relativa all’ufficio dei sacramenti? Ma allora, correggici se sbagliamo, per amor di logica, una suora può essere lesbica, se — ça va sans dire — strettamente astinente, essendole, per definizione, negati il celebrar messa, il battezzare, il dare estrema unzione e viatico, ecc. Il problema qui si complica, però: ché il peccato è già nelle intenzioni, pare, ben al di là – anzi, ben prima – dell’atto. Poi – e ritorniamo a quello che si diceva prima – si complica perché è da stigmatizzare l’errore, non l’errante (l’atto omosessuale e la sua intenzione, non già l’omosessualità se perfettamente astinente). Ma questo smentisce l’assunto di partenza, perché non è data propensione (a quello che si considera devianza) senza intenzione (di deviare). E qui verrebbero alla mente molte obiezioni gentilmente offerte da molti fini intelletti, tutti porporati tuoi ex colleghi: secondo i quali l’omosessualità è stortura biologica (prim’ancora che morale) del disegno creazionale, fino all’affermazione abbastanza recente che “dalla omosessualità si può guarire” — non farci citare Povia, ti prego!
Se questo non fosse un post su un bloghetto, carino, ti racconteremmo poi di quella organizzazione — il Luca di Povia, hai presente? — in cui, soldi alla mano, con tanto di avallo eclesiastico, si vogliono liberare i gay dal demone della perversione, sicché sicché sicché… — amen.
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