Era il 30 ottobre del 2011 e dal parco della Leopolda di Firenze il nostro attuale Presidente del Consiglio proponeva una governance della TV pubblica riformata sul modello della BBC con l’obiettivo dichiarato di “tenere i partiti politici fuori dalla gestione della televisione pubblica”. In meno di due anni stupisce non già la promessa non mantenuta (ché quelle – è uso dire – esistono solo per non essere mantenute) ma la rinuncia a ogni ambizione di cambiamento tanto strombazzato e auspicato. Le cronache di questi giorni hanno restituito, infatti, il solito triste quadretto: uno spezzatino di poltrone, la simulazione in scala ridotta di un sistema politico allo sbando in cui il solito pregiudicato (e spregiudicato) Berlusconi si ritrova a negoziare su questa o su quell’altra poltrona nel doppio ruolo di capo politico della destra nazionale e capo di Mediaset, diretta concorrente della Rai. Lo ripeto: non s’era qui così sprovveduti e incantati da credere davvero a che la rivoluzione culturale promessa venisse rispettata del tutto, ma – era questa la speranza – che almeno si facesse il tentativo di restituire alla più grande azienda culturale del paese una autonomia nel mercato e soprattutto un’indipendenza nelle scelte del prodotto televisivo da offrire. Evidentemente, alla politica interessa di più fare le nomine che offrire di sé una immagine diversa (nella sostanza, e sottolineo sostanza) dal passato. È una scelta, e probabilmente nella realtà delle cose – che è fatta di numeri, di idee, di capacità e di possibilità – non c’è contraddizione. Forse la vedo solo io, questa contraddizione. In tal caso fate finta che queste poche righe siano la confusione di uno che a fatica riesce a stare dietro alle cose che accadono nel mondo del reale; mondo dove, un tempo si diceva, i versi potevano anche cambiare.
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