«Abbiamo perso la Liguria e alcune città importanti come Venezia e Arezzo», ma «siamo il primo partito in Italia e in Europa, chi dice che il Pd è in crisi ha preso un colpo di caldo». Questa la superficiale autocritica offerta all’assemblea nazionale Pd dell’Expo con cui, nei fatti, Matteo Renzi ha ignorato l’emorragia di consensi al suo partito e ridicolizzato i tre suoi avversari: «il populismo 5 Stelle, la sinistra radicale che qualcuno dice sia possibile anche se noi pensiamo sia improbabile, e la destra becera della Lega Nord». Non c’è da averne paura, è stato il suo messaggio: basterà presentare ai cittadini il nuovo volto di un Pd no-tax, una vera e propria «rivoluzione copernicana» che «non ha paragoni nella storia repubblicana». Fulcro della manovra: l’eliminazione dell’imposta sulla prima casa nel 2016 e poi, in un crescendo verso le elezioni, taglio dell’Irap, dell’Irpef e trattenute sulle pensioni: una manovra — spiegano i tecnici — da 5 miliardi nel 2016, con un riflesso di 45 nel triennio a seguire. Come? Ottenendo deroghe di flessibilità dall’Ue grazie al rispetto del piano di riforme 2015.
Condizione imprescindibile affinché il tutto vada in porto è di approvare definitivamente la riforma costituzionale entro Natale ché — spiega Renzi — «senza le riforme costituzionali casca anche il castello che ci può permettere una maggiore flessibilità e di realizzare la riforma fiscale».
La società, con i tanti suoi malesseri e le sue contraddizioni, è stata la grande assente nelle riflessioni di un leader che basta a se stesso, convinto com’è di essere in grado di plasmare le maggioranze parlamentari di una classe politica desiderosa solo di durare: «non passerò i prossimi due anni a sedare liti interne, a seguire o fondare correnti, a giocare all’allegro chirurgo delle appartenenze», taglia corto. La posta in gioco — ha precisato Renzi — è «il cambiamento dell’Italia, non discutere tra noi». Punto.
In sintesi estrema? Il solito «Jusqu’ici tout va bien» ripetuto a se stesso e agli altri per poi reagire con un moto di fastidio a chi fa presente che invece tutto precipita.
A consentire questo monotono refrain, il collaudato manipolo di suoi fiancheggiatori che ne agevolano le scelleratezze minimizzandone la gravità col sarcasmo di cui fanno oggetto chi invece la avverte e la segnala. Un compatto brodo di coltura che riesce a dargli nutrimento necessario con l’ottusa indolenza di quanti si rifiutano di vedere la realtà delle cose, che poi sono gli stessi che ingrassano nelle sue innumerevoli pieghe. Forse — a voler essere realisti e giusti — occorre risparmiare un po’ del disprezzo che tocca a Renzi per lasciarlo a loro.
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