L’avvocato Ghedini pare ne voglia fare un’ipotesi “di scuola”: dimostrare in Appello e poi, spera, in Cassazione che il caso De Gregorio possa aprire una questione di diritto costituzionale sulla insindacabilità dei comportamenti e dei voti espressi da un parlamentare. Allora, secondo questo criterio — ragiona (si fa per dire) Ghedini — può essere determinante pure la promessa di un incarico ministeriale, di sottosegretario, di presidente di commissione parlamentare… Questa (falsa) china porterebbe, in sostanza, — stante comunque la veridicità del criterio “di scuola” che Ghedini spera di dimostrare — all’incriminazione di chiunque cambi casacca, voti con lo schieramento opposto a quello col quale è stato eletto, a prescindere — si badi bene, siori e siore — dalle ragioni prime che l’hanno spinto al cambiamento. È, in ultima analisi, il principio del Todos Caballeros, insomma.
Questa, mi sia concessa la brutalità della estrema sintesi, la logica a cazzo di cane che la difesa, sia quella strettamente giudiziaria che quella impropriamente politica, vorrebbe adottare per l’ennesimo caso di corruzione che vede coinvolto l’ex cavalier Berlusconi. Come se l’articolo — il 318, mi dicono gli esperti — del Codice Penale che sta lì a spiegarci cosa debba intendersi per corruzione non avesse al centro quella «retribuzione non dovuta» che nel caso in esame l’accusa è riuscita a dimostrare esserci stata: in questione — vale la pena ricordarlo — non era il cambio di casacca, il pericolosissimo “salto della quaglia” disinvoltamente intrapreso da uno stranamente agile De Gregorio, ma il fatto che sia intercorso un «contratto illecito» tra soggetti che in esso si son fatti corrotto e corruttore. Punto.
C’è da stupirsi difronte a una tale adulterazione dei fatti e della logica? Niente affatto: ogni volta che l’imputato Berlusconi Silvio è raggiunto dalle conseguenze delle sue pisciatelle — chiamiamole così, va’ — sulle Leggi di questo Paese i suoi lacchè, che per contratto stanno lì, chi con la lingua chi con la penna, a spazzargli la strada su cui cammina, ebbene queste puttane del pensiero sono capaci delle più spregiudicate contorsioni logiche.
Sbraitassero pure i suoi servi, ormai è un fastidioso lamento a cui siamo abituati da tempo, sbraitassero come sempre, non impressionano più se non per pena; un coro che, unanime, sta lì a parlare ogni volta di persecuzioni giudiziarie e sentenze politiche emesse da toghe più o meno vermiglie, col tempo, davvero, muove solo sentimenti di pena. Servi-a-prescindere, garantisti un tanto all’etto, c’è solo da sperare (anche per loro) che prima o poi acquisiranno il concetto di decenza e riusciranno a starsene, per amore del buon gusto, finalmente in silenzio.