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L. era cieco…

Silvio berlusconi 1994

L. era cieco. Cioè, no. L. era non vedente. Quando poteva, negli ultimi suoi anni, sedeva davanti alla TV: la ascoltava; come me quando, seduto a tavola, mangio e ci sono i bimbi in casa che guardano le repliche dei cartoni – perché i bimbi guardano spesso le repliche dei cartoni, sapete?
L. era cieco, ma anche un uomo libero. Libero dai sorrisi della gente, libero dai condizionamenti esteriori: gli abiti, i colori, gli sguardi, gli ammiccamenti scivolavano sul suo corpo come olio sull’acqua.
Era, più che una persona, un colino; uno di quelli che si usano per filtrare il tè. Ascoltava parole e ne setacciava, con cura, gli accenti, i toni, le cadenze. Tutto il superfluo (che è anche comunicazione), su di lui cadeva senza intaccare minimamente la superficie: naturale repellenza. Con lui, tanto per dire, la chirurgia estetica, il sorriso studiato, la posa elaborata, la frase ad effetto non attaccavano: andavano via come acqua su uno specchio.
’O siente a cchisto? – mi disse quel giorno – ‘statte accorto! Questa voce è pericolosa: è la voce di un cretino.

Era il 26 gennaio del 1994. E quello, in TV, aveva appena attaccato a dire: “L’Italia è il paese che amo…”.

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