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…errori

Dopo le elezioni, è tutto un contristarsi — per quelli che non sono riusciti a guadagnare voti o che ne hanno perduto — sugli errori commessi. «Beh, bisogna ammetterlo: abbiamo sbagliato». Hanno ancora sbagliato. Non fanno che sbagliare. E sbagliare — andrebbe aggiunto — sempre allo stesso modo. Non già, quindi, per avversione alla noiosa perfezione (Tò μὲν ἁμαρτάνειν πoλλαχῶς ἐστíν…, τò δὲ ϰατoρθoῦν μoναχῶς, ammoniva Aristotele) ma per assoluta mancanza di spirito critico su quanto accaduto in passato.
Si tratta il più delle volte di errori che – per dirla col Manzoni – potevano esser veduti (e quindi evitati) da quelli stessi che li commettevano. Per spiegarseli, allora, per provare a dare un senso all’illincrescioso agire, bisogna ricondurli o alla passione o all’imbecillità. La ragione sbaglia quando (per colpa) non vede. La passione e l’imbecillità, invece, fallano (a loro insaputa) sull’evidenza.

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