La scrittura può, in certi momenti, essere usata come valvola di sfogo: strumento efficacissimo a buttar fuori dal corpo, ovvero dalla tua mente, la rabbia che ti riesce difficile da smaltire in altro modo.
La scrittura come catarsi, come catarro che sputi fuori, non dico per terra ch’è maleducazione, ma sul foglio o anche su uno schermo del pc.
Sputasentenze che non è altro, il blogger ha come un impellente bisogno di estirpare la malerba che infesta la sua mente (nel suo corpo): è quando i suoi pensieri scorrono fluidi, lisci, senza increspature ch’egli si sente appagato, come uomo sulla riva del fiume ad ascoltare la musica lenta del suo placido scorrere.
Cinguettii di allodole accompagnano lo spegnersi della sua eccitazione. Prima, egli era pronto a sbranar a morsi uno qualsiasi degli stronzi che comandano e fottono il mondo e, dopo, invece, solo dopo aver scritto, dopo aver sputato, si sente così rappacificato, così soddisfatto che le sue cellule abbiano avuto la forza, il modo e la concentrazione di esprimere un barlume del suo esserci.
Soddisfazione grama, va bene. Ogni tanto sarebbe preferibile potere qualcosa, anziché niente. Eppure, in tutta questa infinita impotenza, questa frustante impossibilità di incidere nel profondo negli eventi, sentire partecipazione alla vita che passa è la cosa che più gli preme: la sconfitta dell’angoscia, la solitudine che non pesa, anzi. E lo scorrere della penna ad accarezzare fuori di sé tutto ciò che lo riporta al centro.
L’amore per ciò che riversi su un foglio di carta è difficile da spiegare, soprattutto se è rivolto a se stessi. E io mi voglio bene ora, tanto, e vorrei che anche per voi fosse la stessa cosa, anche se lo specchio, anche se gli occhi di chi avete davanti potrebbero farvi voler intendere il contrario.
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