Mattina. La sete non si è ancora spenta. Si beveva insieme; eri contenta e lasciavi l’impronta del tuo sorriso nell’acqua del ruscello che scorreva fredda, impetuosa e chiara. Riempivo una bottiglietta di plastica vuota: c’era da camminare e la sete, dopo la tregua, sarebbe tornata, nonostante l’insolito freddo e il vento inaspettato. Raffiche di vento che, come stilettate, ci costringevano a chiudere gli occhi: ci affidavamo l’uno all’altra nell’inconsapevolezza che entrambi li avevamo chiusi. Era la fiducia – così, come espressione naturale, non codificata da nessun organo competente. Era qualcosa che avvertivamo dentro, in quella parte indefinita del nostro intimo che prova a gestire tutte le emozioni. Qualcuno, semplificando, prova a chiamarlo cuore ma io non ne sono sicuro sia solo quello. Certo, la sentivamo salire dal petto a invaderci la mente, ma questa non è affatto condizione sufficiente a concludere che germogli davvero tutto proprio (e solo) da lì. E in questo paesaggio, correva sinuosa e lieve come un’onda, non visibile e nemmeno, se non di tanto in tanto, udibile, ma quel che se n’udiva bastava a rafforzarne l’inquietudine: uno scoppio di improvvisi gridi acuti, all’immagine ravviso, e poi come un croscio di tonfi seguiti dallo scoppio d’un ramo spezzato, e ancora grida, ma diverse, di vociacce infuriate, che andavano a concentrarsi nel luogo da cui prima erano germogliati, improvvisi, i gridi acuti. Poi niente, un senso fatto di nulla. Taceva financo il vento. Silenzio, come d’un trascorrere, di qualcosa che c’era da aspettarsi non là ma da tutt’altra parte, e difatti riprendeva quell’insieme di voci e rumori, e questi luoghi di probabile provenienza erano, di qua o di là del fitto bosco, sempre dove si muovevano al vento le piccole foglie degli alberi che ci circondavano.
I raggi del sole tremolavano tra la danza delle giovani foglie. Tu eri bella e forse lo ero anch’io — per quella logica che vuole che stare accanto al bello, belli si diventa. Era una questione logica infatti quella che ci aveva portato fin qui, tra questa natura. Nessuna scommessa, non c’era da scommettere niente, dato che non c’era nessuna partita in corso. Si ragionava di cose improbabili, e dovevamo, a volte, ripetere le parole perché il vento, fastidioso assai, era più forte della nostra voce – e di urlare, no, non ce n’era davvero bisogno. D’un tratto, la vetta: il lucido orizzonte ripulito mostrava l’aguzzo limite a cui tendevamo. Vedevamo, oltre, una striscia di mare e ci sembrava impossibile. Era il momento giusto per esprimere un desiderio…
– Sei ancora a letto e la colazione non è pronta. Sbrigati, ché facciamo tardi!
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