≡ Menu

Siamo esattamente dove dovremmo essere.

Ci siamo passati tutti. Quell’ansia, quella corsa sfrenata a “finire il programma” prima della fine dell’anno scolastico. Genitori preoccupati, studenti in affanno, insegnanti che accelerano il ritmo delle lezioni come se fossero in una maratona, spuntando argomenti da una lista immaginaria, perché “così si è sempre fatto”. Ma poi, un momento: quale programma? Esiste davvero ancora un elenco rigido di contenuti che devono essere trasmessi entro giugno, senza possibilità di deviazioni, di approfondimenti, di adattamenti?
La realtà è che questa idea del programma da completare è un retaggio del passato. Un passato in cui la scuola era concepita come un contenitore di nozioni da riversare nelle menti degli studenti, in un ordine prestabilito, senza deviazioni. Un passato in cui il sapere era lineare, monolitico, impartito dall’alto, come una legge inappellabile. Ma la scuola di oggi non è più (o almeno non dovrebbe essere) così.
Le Indicazioni Nazionali, che hanno sostituito i vecchi programmi ministeriali, non parlano di un elenco fisso di argomenti da trattare, né stabiliscono in quale anno scolastico debbano essere affrontati. Parlano invece di traguardi di apprendimento, di competenze, di un percorso formativo che si costruisce intorno agli studenti, ai loro bisogni, ai loro ritmi. Non è una gara a chi arriva prima. Non è una corsa contro il tempo. È un viaggio.
Eppure, il mito del “siamo indietro” resiste. È radicato nella mentalità di chi ha vissuto la scuola come un insieme di tappe obbligate, dove l’unico obiettivo era terminare il libro di testo, come se fosse un sacro Graal dell’istruzione. Ma ha davvero senso? Se un argomento viene trattato in fretta e furia, con gli studenti che a malapena riescono a seguirne il filo, è davvero “insegnato”? O è solo una parvenza di apprendimento, un’illusione che soddisfa la burocrazia ma non la crescita reale degli studenti?
Forse dovremmo chiederci: vogliamo davvero una scuola che si preoccupi di “coprire il programma” o una scuola che insegni davvero? Perché la differenza è enorme. Coprire il programma significa spuntare argomenti come caselle di un elenco. Insegnare significa adattarsi, ascoltare, modulare il percorso in base agli studenti che abbiamo davanti. E se questo significa soffermarsi più a lungo su un argomento perché la classe ne ha bisogno, allora ben venga. Se significa saltarne un altro perché verrà ripreso più avanti in modo più efficace, allora così sia.
Non siamo indietro. Non esiste un traguardo unico per tutti, un punto preciso in cui ogni studente dovrebbe trovarsi a maggio, pena il fallimento educativo. Esiste invece un processo di apprendimento che è diverso per ciascun gruppo, per ciascun individuo. E il ruolo della scuola non è far correre tutti allo stesso passo, ma accompagnare ciascuno nel proprio percorso.
Dunque, smettiamola di misurare la scuola con il metro del “programma completato”. Iniziamo a chiederci invece: i nostri studenti stanno imparando davvero? Stanno sviluppando competenze, curiosità, capacità di pensiero critico? Se la risposta è sì, allora non siamo indietro. Siamo esattamente dove dovremmo essere.

{ 0 comments… add one }

Rispondi