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O forse non guarda nemmeno.

Oggi, a Washington, nel Campidoglio che quattro anni fa fu assediato dai suoi sostenitori, Donald Trump si insedia come quarantasettesimo presidente degli Stati Uniti. È una giornata carica di simboli, di tensioni, di significati che sembrano urlare più forte delle parole. Qui, dove si è vista la democrazia vacillare, oggi siede di nuovo il suo sfidante più controverso. È quasi ironico, no? O forse no. Forse è tutto perfettamente coerente con lo spirito dei tempi.

C’è una folla, certo, ma non è quella dei cittadini, delle masse che accorrono per celebrare un simbolo di unità. È una folla selezionata, ristretta, quasi esclusiva. Ci sono Elon Musk, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, quasi una caricatura della ricchezza globale riunita sotto il cielo plumbeo di Washington. Si stringono le mani, sorridono, parlano di futuro, ma il futuro, quale futuro? Uno dominato dai loro algoritmi, dai loro droni, dalle loro infrastrutture digitali che avvolgono il mondo come una ragnatela invisibile ma soffocante.

E Musk, Musk non è solo uno spettatore. È il primo miliardario ad attraversare quella linea sottilissima tra chi finanzia e chi governa. È dentro il governo, è il governo. I confini tra potere economico e politico sembrano evaporati come nebbia al sole. Bezos, Zuckerberg, Sundar Pichai, Sam Altman, tutti lì, tutti parte di un nuovo ordine. Un potere così concentrato che non serve nemmeno un tavolo grande per contenerlo. Una manciata di uomini, quasi tutti bianchi, quasi tutti americani, con le donne presenti solo come silenziose accompagnatrici, decorazioni di un trionfo che non le riguarda.

E non è che con i democratici fosse diverso, non è che la politica fosse mai stata un banchetto per i poveri. Ma oggi, oggi è tutto più scoperto, più nudo. Non ci sono neanche più le maschere. È una celebrazione del potere puro, del capitale, della tecnologia che non connette ma domina. Un nuovo re, con la sua corte di magnati e visionari, si insedia. E intanto il popolo, quello vero, quello che sta fuori, guarda. O forse non guarda nemmeno.

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