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L’indifferenza è la vera complice di ogni tirannia.

Perché vai là dove la morte ti aspetta?” sussurrano le voci dei cinici, degli scettici, di coloro che oggi puntano il dito verso Cecilia Sala. Come se l’Iran fosse terra proibita, come se il giornalismo fosse un mestiere da svolgere comodamente seduti in poltrona…

E mi vengono in mente, uno dopo l’altro, volti e nomi – un fiume di memorie che scorre impetuoso: Quirico, Mastrogiacomo, Sgrena. E poi ancora, in un vortice di ricordi dolorosi: Russo, Cutuli, Palmisano, Alpi, Hrovatin, Luchetta, D’Angelo… Quante vite spezzate, quante storie interrotte nel tentativo di raccontare altre storie.

Mi perdo nei ricordi di quella mostra a New York, gli scatti in bianco e nero di Gerda Taro che ancora urlano il dolore della guerra civile spagnola. La vedo, quella giovane donna, mentre si avvicina troppo a quel carro armato, cercando l’angolazione perfetta per immortalare l’orrore. E accanto a lei, Robert Capa – l’amore, la guerra, la fotografia, tutto intrecciato in un destino che lo porterà dalle spiagge della Normandia fino a quella maledetta mina in Indocina.

E mentre penso a loro, mi chiedo: che cosa spinge migliaia di giornalisti, fotografi, videomaker a rischiare tutto? La risposta emerge spontanea, come un’onda che sale dal profondo: è il grido silenzioso dei popoli oppressi che cerca una voce. È quel bisogno viscerale di testimoniare, di essere gli occhi del mondo là dove il buio della censura vorrebbe calare un velo di silenzio.

Chiudo gli occhi e immagino: se fossi io quell’iraniano, quell’afgano, quel tibetano… Non vorrei forse che qualcuno raccontasse la mia storia? Non sentirei forse un barlume di speranza sapendo che là fuori, nel mondo libero, qualcuno sa della mia lotta, della mia resistenza, del mio sogno di libertà?

Ed ecco che tutto diventa chiaro, cristallino come l’acqua di un ruscello di montagna: questi giornalisti sono i nostri occhi, le nostre orecchie, la nostra coscienza. Sono i testimoni che scelgono di guardare l’orrore dritto negli occhi per raccontarlo a chi preferisce distogliere lo sguardo. Non eroi, ma cronisti ostinati della verità, narratori instancabili delle storie che il potere vorrebbe soffocare.

A loro, a questi custodi della memoria e della verità, non possiamo che dire grazie. Un grazie silenzioso ma profondo, per ogni storia raccontata, per ogni rischio corso, per ogni sacrificio fatto nel nome di quel diritto fondamentale che è sapere, conoscere, comprendere.

Perché alla fine, in questo flusso ininterrotto di eventi e testimonianze, sono loro – i Cecilia Sala di ieri e di oggi – a ricordarci che l’indifferenza è la vera complice di ogni tirannia, e che la verità, per quanto pericolosa, merita sempre di essere cercata, raccontata, difesa.

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