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un invito a non voltarsi di fronte alla paura

Il film It del 2017, tratto dal celebre romanzo di Stephen King, non è solo un horror. È una finestra sull’oscurità che ogni individuo cela dentro di sé, una rappresentazione vivida e pulsante delle paure che ci inseguono e ci avvolgono come una nebbia impalpabile ma tenace. Qui, a Derry, una cittadina dove il male sembra essersi annidato tra le fondamenta delle case e nei boschi che la circondano, i protagonisti non sono semplicemente dei ragazzini in lotta contro un mostro. Sono anime in crescita, vite che cercano di sfuggire all’ombra che si protende su di loro, scoprendo una verità intima e universale: per poter vivere davvero, bisogna affrontare ciò che ci spaventa.

È un flusso costante di emozioni quello che ci travolge scena dopo scena. La paura che Pennywise, l’agghiacciante clown, incarna e alimenta non è solo il terrore del mostro; è una paura più profonda, quasi esistenziale, che rispecchia gli incubi più intimi di ciascun ragazzo. Ogni membro del “Club dei Perdenti” è in fuga da un mostro diverso: c’è chi teme il bullismo, chi lotta contro l’abbandono e la solitudine, chi contro la propria vulnerabilità fisica o la fragilità del corpo. Ma Pennywise sa, lui fiuta questa paura, la esalta, la amplifica fino a farla diventare un mostro tangibile.

La forza del film risiede nella rappresentazione di questi giovani protagonisti come veri e propri guerrieri dell’anima. Attraverso un crescendo di scene intense e claustrofobiche, emerge una lezione senza tempo: la paura, quel nodo oscuro che ci paralizza e ci rende fragili, può essere sconfitta. Ma per farlo, è necessario riconoscerla, accettarla, e infine combatterla. Si tratta di una sfida emotiva e psicologica che il regista Andrés Muschietti ha saputo rappresentare con maestria, creando un’opera che va oltre l’horror. È un racconto di crescita, di formazione.

Ogni inquadratura sembra voler penetrare nelle viscere della psiche dei personaggi, svelando quei dettagli che rendono ognuno di loro tanto reale quanto disperatamente vulnerabile. C’è un momento, quasi impercettibile, in cui ognuno dei ragazzi trova il coraggio di affrontare ciò che più teme. È come un’esplosione interiore che attraversa lo schermo, una corrente sotterranea di forza che li unisce e li trascina verso l’inevitabile resa dei conti con il loro peggiore incubo. In quel momento, It smette di essere solo una lotta tra bene e male, ma diventa un viaggio di auto-scoperta, una catarsi che parla a ciascuno di noi.

Il messaggio finale è potente e penetrante: per quanto oscure e mostruose siano le nostre paure, esse possono essere affrontate e vinte. Pennywise è il simbolo dell’ignoto che ci terrorizza, di quei limiti che ci imponiamo e che ci impediscono di crescere e di realizzare il nostro potenziale. Ma i ragazzi di Derry, con la loro fragile determinazione e il loro coraggio inesperto, ci ricordano che abbiamo dentro di noi la forza per superare anche ciò che sembra invincibile. E quando i titoli di coda scorrono, resta un senso di liberazione, un respiro di sollievo. Non abbiamo solo assistito alla fine di una battaglia, ma abbiamo rivissuto, attraverso i loro occhi, la vittoria che ogni persona può ottenere contro i propri demoni.

It non è soltanto un film; è una parabola sulla forza dell’amicizia, del coraggio e della resilienza, un invito a non voltarsi di fronte alla paura, ma a guardarla dritto negli occhi, consapevoli che solo affrontandola potremo scoprire chi siamo davvero.

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